Bill Murray

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Se Paulo Dybala va in campo a dispetto del suo status di campione, che si sporca inevitabilmente a causa della sua condizione fisica, è perché Gasperini cerca in lui una speranza tecnica, in una realtà offensiva rasa al solo dalle lacune di un mercato che per paradosso ha reso la Roma meno forte dello scorso anno, quando almeno a tozzi e bocconi c’era Saelemaekers.

Oltretutto Dybala non ha mai iniziato quest’anno una partita nel suo ruolo, largo a destra, dove giustamente viene impiegato Soulé, l’unico a salvarsi in prima linea. Se Baldanzi in alcuni momenti cruciali dei primi quattro mesi di stagione è stato schierato al centro dell’attacco, è perché Gasperini avrebbe voluto altro rispetto a Dovbyk, ma al massimo la Roma per sostituire l’ucraino ha puntato per un mese uno che stava più in crisi di lui, Gimenez del Milan, il re dei flop. E perché Ferguson probabilmente se Gasperini avesse a disposizione tre centravanti, sarebbe la terza scelta, perché al momento è il calciatore meno inserito tatticamente, e ha già smorzato quella fiammella di speranza e aspettativa che si era accesa dopo l’esordio ad agosto. Se El Shaarawy gioca sempre meno è perché Gasperini suo malgrado deve fare i conti con la parabola discendente dell’esterno d’attacco, e per questo l’allenatore è costretto a insistere su Pellegrini. E anche per questo loda, forse oltremisura, Pellegrini.

Il ruolo dell’allenatore è anche questo: nei limiti del possibile deve comunicare fiducia ai calciatori. Un po’ quello che quattro anni fa faceva Mourinho con l’allora capitano giallorosso. Quella strategia, che aiutò Pellegrini a giocare la sua migliore stagione nella Roma, non poteva essere capita da tutti. Così come le parole al miele di Gasperini espresse prima di Cagliari-Roma. Non tutti sono in grado di andare oltre il primo strato comunicativo.

Se nelle rotazioni entra poche volte Bailey, e il più delle volte lo fa per giocare a destra, è perché Bailey è un esterno destro mancino che a volte può giocare a sinistra, ma soprattutto è lontanissimo da una forma accettabile, e in una squadra che già fa i conti con la precarietà fisica di Dybala, non è stata un’idea brillante tesserare uno che sta sul podio nella classifica mesta dei guai muscolari.

La Roma, ad agosto, sul mercato ha fatto un casino. E per questo è inspiegabile il rumoreggiare dialettico su Gasperini, sono inspiegabili le teorie secondo cui deve fare le cose semplici. È così difficile da capire che certe mosse azzardate sono figlie di esperimenti necessari per trovare soluzioni a problemi causati dal mercato estivo? Di inspiegabile c’è il buco nero di agosto, quando si narravano trattative che sistematicamente saltavano, e quando alla fine della giostra sarebbero arrivati soltanto Tsimikas e Ziolkowski. Ossia un ex panchinaro del Liverpool (sarebbe ora di finirla con le favole sul livello alto di chi viene dai top club, perché nel Liverpool a sinistra ha giocato sempre Robertson, mentre il greco in quella squadra era soltanto una decorosa riserva) e un giovane difensore di prospettiva.

Sentir dire o leggere che Gasperini deve fare come Ranieri, ossia snaturarsi e cucinare la minestra, è mortificante. E di un provincialismo pericolosissimo. Basterà infatti un altro pareggio per fare urlare che i calciatori sono degli indegni che non si impegnano (mentre invece stanno dando il massimo, ed è questo il problema di fondo), poi lo step successivo sarà urlare che Gasperini non è adatto alla Roma. Quindi che deve tornare Ranieri, abile nel fare sette otto risultati di fila e poi si annuncia un nuovo allenatore. Poi un mercato monco e a settembre “la Roma riparte dai senatori, titolari e pronti al rinnovo”. E si ricomincia da capo. Manca soltanto Bill Murray.

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Irish clan

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Proviamo ad affidarci al nostro modo più classico, e sicuramente meno infallibile, di valutare i calciatori avendo a disposizione quasi quattro mesi di stagione per produrre i giudizi. Quali sono gli elementi maggiormente dentro il “sistema Gasperini”? Di contro, quanti sono in ritardo o in palese difficoltà?

Inutile perdere tempo con Svilar, lui dimostrava di essere il più forte anche con Juric. In difesa, Mancini era già un suo uomo ed è tornato a esserlo, chiaro che se gli si chiede recuperi a mille all’ora su avversari che scappano a campo aperto, si diventa ingenerosi. Ma nell’applicazione sull’uno contro uno e nel mettersi a disposizione in fase offensiva, ha impiegato trenta secondi per entrare nell’ottica del suo ritrovato tecnico. Bene anche Ndicka, sia da mezzo sinistro di difesa sia da centrale. Gasperini sta riabilitando Hermoso, che del pacchetto arretrato è il più scafato. Stanno entrando a regime Ziolkowski e Ghilardi. Dopo due mesi di palestra, al netto di errori di fisiologica crescita all’interno del nuovo modulo, fanno pensare che le intuizioni estive di direttore sportivo e allenatore, per il loro ingaggio, siano felici. Diamogli tempo.

Quel tempo che è servito a Celik per trovare finalmente un allenatore che fungesse da autore per renderlo personaggio. Sembra un calciatore di Gasperini da almeno cinque anni. Wesley non poteva non essere gasperiniano. Espressa richiesta dell’allenatore, ha raddrizzato la bocca di chi dopo le prime uscite affermava che non valesse i soldi spesi. Rensch è la classica alternativa sulle corsie esterne che si applica ma che davanti ha concorrenti più forti. Su Angelino non ci resta che aspettare anche se sarà difficile togliere il posto a Wesley, cosa che non può fare Tsimikas, che nelle gerarchie oggi alle spalle ha soltanto Angelino che però non gioca da due mesi.

Per Cristante vale il discorso di Mancini. Ha soltanto riattaccato la spina, ritrovando quegli automatismi che lo portano a essere l’incursore utile per aumentare il fatturato offensivo. Koné è forte con chiunque, sarebbe stato titolare in questi ultimi anni anche nell’Atalanta. Mentre El Aynaoui sta scalando posizioni in classifica. Peccato per la Coppa d’Africa, perché dopo un doveroso apprendistato, oggi ha capito tutto ciò che gli chiede Gasperini, e lo dimostra partita dopo partita. Pisilli attualmente è un oggetto misterioso. Il talento c’è e lo mostra in Under 21, perché con la Roma a parte una manciata di minuti a Cremona, non si vedeva dal derby, quando si andava ancora in spiaggia. Di norma è una mezzala da centrocampo a tre, ma siccome con Gasperini si gioca a due, è stato aperto il dibattito per mesi: lo considera centrale o mezzapunta? Quando hanno chiesto a Gasperini perché Pisilli non gioca mai, ha risposto che davanti ha gente che sta facendo bene, indicando Cristante, Koné ed El Aynaoui. Quindi al momento lo considera mediano. Che potrà avere spazio con la partenza del marocchino a dicembre. Ma la Roma a prescindere ha bisogno di un altro centrocampista. E Pisilli non essere così centrale nel progetto Gasperini, potrebbe diventare pedina di scambio a gennaio.

Le presenze in campo di Pellegrini dimostrano che con Gasperini, se ci si applica, chiunque può avere la sua opportunità. Rientrerà anche nel giro dei mediani in concomitanza della Coppa d’Africa? Soulé sta provando in questi schemi a consacrarsi. El Shaarawy, a piccole dosi da calciatore intelligente, è entrato presto nella lunghezza d’onda indicata dall’allenatore. Baldanzi, che a fine agosto era praticamente del Verona, viene utilizzato in emergenza e si applica, pure se continua a non fare né gol né assist.

E veniamo alle note più dolenti. Dovbyk, ora ai box, doveva partire in estate, ma il problema è che la dirigenza della Roma per sostituirlo aveva puntato l’unico attaccante più in difficoltà di lui in Serie A, Gimenez del Milan. L’ucraino non ingrana, e iniziamo ad arrenderci. Arrivato tra mille mille aspettative, sembra quel prodotto di grido che ordini, viene consegnato ma risulta subito fallato e ogni tentativo di manutenzione più che migliorarlo ti toglie le speranze che possa ripagare l’investimento. Bailey sembra Paperino, manco è arrivato e si è fatto male, torna dopo due mesi e a parte un paio di lampi, e un nuovo infortunio, dà la sensazione per caratteristiche di essere un anarchico che l’allenatore prova a inquadrare. Nel calcio l’anarchico può servire, sia chiaro, anche nelle squadre più inclini al regime. Ma al momento anche per problemi di condizione atletica Bailey sembra purtroppo uno capitato in campo per caso. Ferguson è arrivato tra mille speranze e poche certezze. L’involuzione degli ultimi mesi, non contando il tempo perso in infermeria, preoccupa. O forse ci si era troppo illusi dopo un paio di partite, con Bologna e Pisa, incoraggianti. La speranza è che Roma-Napoli per lui sia il fondo da cui risalire. Perché non vorremmo con lui tornare a cavalcare vecchi teoremi anni novanta, sui calciatori britannici e irlandesi che non si adattano agli schemi e alla vita del calcio italiano.

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Niente di nuovo

LR24 (AUGUSTO CIARDI)Roma vive una sorta di psicosi da grande sfida. A causa del quale una sconfitta tutt’altro che netta, oltretutto decisa da un episodio grave non tanto per l’intervento su Kone, ma perché nel calcio che hanno reinventato i cervelloni dell’IFAB e che interpretano a piacimento i solerti arbitri italiani, quegli interventi vengono sanzionati nove volte su dieci, nonostante i commenti ondivaghi di “esperti” del mestiere. La Roma non ha mollato, non si è arresa a un Napoli che, pur contando l’assenza di Lukaku, potendo giocare con Hoijlund, si permette di fare entrare Lucca, pagato oltre trenta milioni, a una manciata di minuti dalla fine, per tenere il pallone lontano dalla propria area. Di contro, Gasperini per rimontare la partita è stato costretto a togliere l’unico centravanti a disposizione. Paradosso figlio della necessità se non della disperazione. Non un gesto inconsulto, non un impazzimento. Ma una presa di coscienza. Almeno in questo momento storico l’allenatore ritiene che la via del gol sia più facilmente perseguibile attraverso una manovra che prevede nell’area avversaria un trequartista in miniatura piuttosto che attaccante centrale alto più di un metro e ottanta. Eppure si continua a credere che Gasperini, quando la Roma perde, sbaglia i cambi se non addirittura la scelta dei titolari. Non ci si rende conto che la Roma prova a battere certi avversari tirando i sassi mentre gli altri sparano le cannonate. Nessuno si allarmi se l’allenatore sembra arrendevole quando risponde a domande sul mercato di gennaio. Non deve essere incisivo parlando in tv con ex calciatori e soubrette. È un tipo che a mercato chiuso pensa al campo. Che diventa un martello pneumatico nelle sedi deputate, le sedi dirigenziali e gli studi televisivi, quando c’è da martellare. Ieri il Napoli è stato più intenso della Roma, fino all’ultimo secondo del recupero. La Roma meno lucida degli ultimi due mesi ha ceduto a una squadra sulla carta oltre che più forte decisamente più completa. E ha perso perché arbitri e varisti solitamente solerti nell’interpretare un regolamento che sta stuprando il calcio, hanno deciso di fare correre e di non intervenire sull’intervento difensivo del Napoli da cui è scaturita il gol. Secondo voi, Massa e Aureliano potevano annullare il gol di Neres e fare riprendere il gioco con un calcio di punizione a favore della Roma al limite dell’area del Napoli? Risposta scontata.

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Complichiamo i rapporti come grandi cruciverba

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Esistono diversi livelli di comprensione del testo. Tutt’altro che elevato è il livello di difficoltà di comprensione degli allenatori, molto più leggibili di quanto la superficialità generale o la voglia di complicare i rapporti facciano sembrare. Chiunque potrebbe leggere tra le righe dei testi degli allenatori. Non sono filosofi, non scimmiottano la sfinge. Poi possono esserci agevolazioni. C’è chi riesce a stabilire un contatto con i tecnici e può giocare di anticipo. E ci sono pure, come in ogni ambito, gli invidiosi che vorrebbero avere contatti con gli allenatori, ma siccome al telefono non gli rispondono manco i parenti stretti, passano la loro magnifica e livorosa vita a criticare chi quei contatti li ha, accusandoli di servilismo. Una prece.

Per Gian Piero Gasperini non serve il traslator. Parla chiaro. E col supporto del suo passato, noto a chi bazzica il calcio, capirlo è semplice. Prima della partita europea dice che la Roma numericamente non è in difficoltà. E fa intendere che non si aspetti chissà cosa dal mercato. Apriti cielo, i più superficiali immaginano che Gasperini non abbia bisogno di nessuno perché rispetto alla scorsa estate si è reso conto che allena una squadra forte e completa. Sbandata clamorosa. Gasperini durante la stagione, a meno che non si sia a ridosso del finale, parla di campo. Non di mercato. Lo disse anche a chiusura della sessione estiva. Totalmente rapito dalle partite e dagli allenamenti. Poi si apre il mercato e non le manda a dire. Citofonare Trigoria per avere conferme. Gasperini ribadisce che non si deve comprare tanto per comprare, perché già ad agosto volevano recapitargli gente di cui non aveva bisogno, presa magari dal Bologna o dal Monza o in prestiti folli dalla Premier League. No, grazie, gente come George e Dominguez non serviva, Pessina è il passato, che poteva tornare di moda, ma non alle condizioni irriguardose proposte dai dirigenti brianzoli. Quindi Gasperini, tornando sul tema del comprare senza logica, ha lanciato un monito, vietato perdere tempo.

La Roma ha avuto quattro mesi per inquadrare l’obiettivo. E la crescita della squadra non deve essere un alibi per il club. Perché in una stagione lunga esistono le difficoltà, e quando arrivano non si fanno prigionieri. La Roma a gennaio non deve riparare. La Roma a gennaio ha una grande opportunità. Rafforzare la squadra seguendo alla lettera le indicazioni del tecnico e spazzare via i dubbi che ha generato quel maledetto mese di agosto, quando sul mercato il club è diventato una comparsa goffa e impreparata. Bisogna ascoltare gli allenatori, o al limite dare credito a chi li conosce direttamente e bene. Non è difficile comprenderli. Il primo step per farlo, è togliersi di dosso pregiudizi e livore. Senza complicarsi la vita facendo giri col cervello inutili. Gli allenatori sono uomini di campo. Parlano in modo semplice. Sono i media che li dipingono come guru da interpretare.

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L’aria che tira

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Non esiste al mondo un direttore sportivo che manifesti ottimismo in vista di una sessione di mercato. È una regola. Piangere miseria, bagnare le polveri, non alzare l’asta delle aspettative. Fanno il loro mestiere. È giusto che sia così. C’era un dirigente quasi cinque anni fa che trattava con Sarri e col suo procuratore arrivando quasi alla firma, mentre il presidente a Londra definiva i dettagli dell’ingaggio di un altro allenatore. E quel dirigente, inizialmente tenuto fuori dalla vera trattativa, convinceva chi in buona fede gli metteva la pulce nell’orecchio, invitando gli astanti a non creare illusioni fra i tifosi della Roma. Perché accade anche questo. Che quando nessuno se lo aspetta intervengono i presidenti e aprono il portafogli. Anche in contesti in cui bisogna fare calcoli precisi per via di accordi finanziari con l’Uefa.

La Roma può fare mercato a gennaio. Può spendere. Anche perché non deve acquistare Valverde o Haaland. Molti organi di informazione da qualche giorno stanno tirando il freno a mano. Ribadendo l’ovvio, ossia che esistono i paletti Uefa, e evidenziando quanto sia complicato il mercato di gennaio, quanto siano capricciosi i proprietari dei cartellini dei calciatori ambiti, quanto siano ingordi procuratori e mediatori. Roba vecchia. Nota, arcinota. Ciò che si legge è ciò che spesso raccontano i dirigenti a intermediari e giornalisti, perché oltre a non volere generare illusorie aspettative, creano attorno a se stessi una specie di protezione verbale, che poi possa portare a dire “eh povero Direttore, come poteva rafforzare la squadra con tutti i problemi che ci sono?“. Vale per tutti. Galliani era maestro nel gettare acqua sul fuoco. Per Marotta l’hobby preferito è piangere miseria nonostante i fatti parlino di Inter che ogni anno spende per cartellini e commissioni. Leggere il mercato, significa anche andare oltre le frasi ripetute a pappagallo e diffuse tramite mass media.

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Pio, patria e famiglia

LR24 (AUGUSTO CIARDIServiva davvero un’amichevole per capire che l’Italia del calcio ha problemi enormi? Per aprire l’ennesimo dibattito su presunte riforme calcistiche, sui settori giovanili, sugli stadi? Per le solite manfrine per cui tutti salgono in cattedra per insegnare il nulla cosmico? Dibattiti e grandi consigli che hanno la scadenza fissata a domenica, al fischio di inizio del derby milanese?

La rivoluzione serve innanzitutto nell’informazione. Che per motivi oscuri non mette mai in discussione la federcalcio. Informazione e comunicazione fatta di “Grandi Firme” che come massimo guizzo rivoluzionario ieri al gol di Esposito si sono scagliate contro Haaland. Avendo in canna dal giorno prima il tweet per rinfacciare al campione norvegese l’irriverenza di non avere ancora messo a fuoco l’attaccante dell’Inter. Patetici.

Immaginate se l’Italia avesse battuto la Norvegia in amichevole. Perché quella di ieri era un’amichevole. Le solite grandi firme si sarebbero rivolte all’Onu per via dell’ingiustizia causata dai metodi di qualificazione. Il solito soccorso da portare ai vertici del calcio che non sbagliano mai. Gli orgoglioni avrebbero difeso Dio (Gravina), patria e famiglia (stipendio). Si sono ritrovati a difendere Pio, patria e famiglia. Fino a quando Haaland ha fatto due gol in una manciata di secondi, condannando all’eternità i tweet inadeguati partoriti al gol di Esposito. Che hanno portato pure la classica sfiga di chi non capisce che a partita in corso bisogna tacere. Il dato aggregato dice 1-7 e allora ci buttiamo sul tennis.

Perché un anno e mezzo fa per il flop europeo la colpa era dei ragazzini che non giocano più a pallone in strada. Mica di Spalletti, anzi Luciano perché chiamarlo Luciano fa più figo. Mica c’è stato qualcuno che abbia scritto che un allenatore come Spalletti Luciano non può fare il commissario tecnico, perché esaltare il suo calcio, irriproducibile in nazionale, faceva troppo figo.

Stavolta bisogna prendere esempio dal tennis, perché nel frattempo siamo diventati sessanta milioni di tennisti. E allora che il calcio prenda esempio dal tennis. Non c’è speranza. Non ci sono due cose più distanti di quanto siano calcio e tennis. Sport individualista, che per organizzazione, crescita dei ragazzi, tipologia di trasferte e costi per la formazione non può avere mai un punto di contatto con il calcio.

Ma bisogna distrarre la massa. E purtroppo la massa è quella che lancia urla di incitamento mentre il campione di tennis lancia in aria la pallina per la battuta. La massa che spesso capisce poco. Come i grandi geni della comunicazione e dell’informazione, come molte “grandi firme” nostrane. Meno credibili del commissario tecnico nigeriano che a fine partita, perso I rigori, parla dei riti voodoo dei congolesi.

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L’antidoto

LR24 (AUGUSTO CIARDI– Non è dato sapere dove arriverà la Roma. Sappiamo però cosa ha incontrato durante questo percorso iniziale. Il migliore antidoto per il virus di indolenza e di piacioneria piagnona che attanaglia la Roma dalla nascita.
Spesso si accusa la piazza giallorossa di essere deleteria. Lo è ma, non per i motivi che accompagnano tale teoria, perorati da chi cerca alibi per le società. Roma non distrugge, Roma è bambagia, rende i calciatori mammoni, li abbraccia fino a stritolarli. Roma è la piazza che il giorno del sorteggio dei gironi di coppa va su Google Maps per misurare le distanze da colmare per giocare in trasferta. Poveri calciatori, come faranno? Il giovedì sera si gioca al freddo nell’Europa dell’est e la domenica pomeriggio c’è la trasferta di Pisa. Della serie “n do’ ‘nnamo dominamo’ ma poi datece er tempo che se dovemo rifocillà”. Quindi ci vestiamo da tecnici di Coverciano e immaginiamo ampio turnover, innescando la gara di piacioneria piagnona, perché è la gara a chi la dice più grossa. “Facciamo giocare il terzo portiere!”. “No! Mandiamo in campo undici Primavera!”. Poi arriva Gasperini e liquida la vicenda “riposiamo quando andiamo a dormire”. E tanti cari saluti al pianeta dei complotti abitato da chi per anni insinuava che a Bergamo si recuperasse in fretta perché Zingonia faceva rima con doping. Pianeta oramai disabitato, stranamente. La Roma di Gasperini è prima con Baldanzi centravanti. La Roma di Gasperini prima in classifica chiude la partita di ieri col tridente Baldanzi, Cristante ed El Shaarawy. Perché quella colpevole lacuna strutturale non colmata in estate resta e andrà cancellata obbligatoriamente a gennaio. Ma lui ha saputo non snaturare il suo credo avendo l’intelligenza di sfruttare fino all’ultima stilla di talento le caratteristiche di gente che fino all’ultimo giorno di mercato non ha mai disfatto le valigie. Chissà se in caso di rimonta dell’Udinese si sarebbe alzata anche stavolta la voce di chi più di una volta quest’anno ha già affermato che l’allenatore sbaglia formazione perché “è venuto a Roma a fa’ er fenomeno”. Quando arriva un lavoratore serio, che ha già vinto altrove, che propone in modo convincente una metodologia acclarata dai risultati, viene facile seguirlo. Anche dai calciatori più usurati, quelli prossimi all’addio. Quando arriva uno così, vincente, forestiero, diverso, che non concede confidenze, che non ha bisogno di chiamare per cercare alleati, viene visto in cagnesco. Gasperini è la cosa migliore che potesse capitare alla Roma. Sta scardinando un sistema pieno di falle. Vincendo otto partite su undici, non ha battuto le varie Lazio, Pisa, Udinese. Ha battuto l’indolenza e i luoghi comuni di un centro sportivo e di un certo tipo di comunicazione che ha sempre spacciato la Roma per un figlio un po’ coglione per il quale trovare una scusa valida dopo l’ennesimo fallimento. Gasperini sta allenando squadra, società e comunicazione. Non deve allenare i tifosi. Loro in quanto tali possono, nei limiti della civiltà, esprimere consenso e disgusto. Non a caso sono gli unici che pagano nel mondo del calcio. Gasperini non a caso viene da lontano. Roma ha sempre ottenuto i risultati grazie ai forestieri. Nella città più bella del mondo, per il salto di qualità c’è bisogno di gente nata a Grugliasco, Xanxere, Aulla, Pieris, Reconquista, Setubal, Brescia, Valdemarsvik. È un dato di fatto.

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Si scrive 16 si legge cuore

“Soffro come un cane ma gli auguro il meglio perché se lo merita”. Più o meno, tanti romanisti che non smetteranno mai di mostrare amore spontaneo a Daniele De Rossi, stanno pensando questo. Daniele De Rossi, più un fratello che una bandiera. Il migliore amico, quello carismatico e rassicurante più che un allenatore. Personalizziamo le emozioni esterne. Che in teoria non ci riguardano. Non perché non ci riguardi De Rossi. Ma perché De Rossi fa l’allenatore. E pure se il rapporto con la Roma non si fosse interrotto per corto circuito societario, sarebbe durato quanto? Due anni? Cinque anni? Anche vincendo trofei a ripetizione, prima o poi lo avremmo salutato. Ma qualsiasi cosa extra Roma che avrebbe fatto, e che farà, ci farà sempre premettere che soffriamo vedendolo su altre panchine. Avendo quasi paura a immaginare quel giorno di fine anno, quando arriverà a Roma da avversario. Inedito assoluto. Sia da calciatore sia da allenatore.

Bisogna accettarlo. Ora sta al Genoa, squadra del popolo, di una città di mare che ha la squadra in difficoltà. Situazione che sembra perfetta per lui. La squadra che ha bisogno di un faro, il popolo, il mare. Un giorno da avversario tornerà allenando il Milan, o il Napoli, forse chissà la Juventus. Una cosa è certa. Non fingerà come altri allenatori che si spacciano per quello che non sono. De Rossi non mette in vendita i sentimenti mentendo sul passato. Anche perché nessuno chiede finzione, ma in tanti sono disposti a farsi fregare dagli uomini di calcio evidenziando in taluni dei maestri di modalità. De Rossi fa il professionista, e non ha mai finto. Se diventerà un top manager, lo scopriremo. Ma non abbiamo bisogno di scoprire cosa sia l’uomo.

In the box – @augustociardi75

Gasp è il migliore. Ma noi deppiù

Tutti noi, ieri, già dal quinto minuto del primo tempo, avremmo preso per il collo, del piede, i calciatori della Roma per stimolarli a tirare di collo, del piede. Passa la nottata, e non l’amarezza, ma al risveglio, a freddo, possiamo farci una domanda: noi che al massimo abbiamo giocato i tornei scolastici e parrocchiali siamo davvero nella condizione di insegnare ai calciatori professionisti come si calcia il pallone?

Davvero pensiamo di poterci fare spazio tra Gasperini e i suoi collaboratori per urlare da bordo campo a Dybala, Baldanzi, Cristante, El Aynaoui, Pellegrini, Kone e Dovbyk che devono tirare la botta? Riflettendo, stamattina, io sono arrossito per avere pensato queste cose durante e dopo Milan-Roma, o a margine di Roma-Inter. Ma d’altronde siamo il popolo che va dal medico e gli presenta la diagnosi prima di essere visitato, che va dal meccanico e gli indica dove intervenire.

Da tifosi della Roma, negli ultimi anni siamo diventati persino urbanisti, archistar ed esperti di finanza, capaci di spiegare a presidenti di club, giunte comunali e regionali come e dove si fanno gli stadi. Esperti persino di carotaggio. La Roma aveva un problema che non è stata capace di risolvere. Viviamo nella città in cui se muovi una critica al mercato estivo si pensa che dietro la critica ci sia un retrogusto acido, figlio di antipatie nei confronti della direzione sportiva. E siamo così presuntuosi da credere che i calciatori siano così stupidi e gli staff tecnici così impreparati da non rendersi conto che basterebbe tirare la botta per trasformare le serate post sconfitta nel carnevale di Rio.

Siamo convinti che se Pellegrini, El Aynaoui, Kone e Baldanzi fossero allenati da Conte affiancherebbero nella classifica marcatori Anguissa e Mc Tominay? La Roma segna poco, per caratteristiche e lacune. Da anni. Ci sono stati tecnici che, preso atto di tali lacune e caratteristiche, hanno provato a sfruttare le peculiarità del gruppo, ossia difendere i magri bottini realizzativi, anche a scapito del calcio champagne che tanto piace oggi. Gasperini sta provando a scardinare questo sistema, lavorando sul campo a modo suo. In modo serio. Identificativo. Anche a costo di commettere errori, anche quando la cosa più banale e stupida diventa etichettarlo come quello che “sta a fa er fenomeno” perché costretto e continuo a modellare il reparto offensivo per trovare la formula giusta. E soprattutto Gasperini fa l’allenatore, non le convergenze ai piedi.

A inizio agosto disse che gli obiettivi della Roma sarebbero stati determinati dagli acquisti in attacco nelle ultime quattro settimane di sessione estiva. La Roma aveva già preso in prestito un potenziale buon calciatore, Ferguson, che nell’ultimo anno aveva visto tanti lettini dei fisioterapisti, poco campo e pochi palloni finire in porta. E da inizio agosto al due settembre avrebbe preso soltanto Bailey, calciatore utilissimo in quanto uno dei pochi che salta l’uomo, ma storicamente incostante e con scarsa propensione realizzativa. Non è ingeneroso urlare contro la televisione quando Cristante (uno dei pochi che sa tirare da fuori) fa ballonzolare il pallone lontano dalla porta e se El Aynaoui passa la palla a Maignan, al pari di Pellegrini nel secondo tempo. Ma pensare che i problemi di una squadra, che comunque ha un solo punto in meno del Napoli che ha tre centravanti e che ha pagato il meno dotato trentacinque milioni, siano legati soltanto all’addestramento dei calciatori durante le sedute a Trigoria, è ridicolo.

Gasperini ieri per rimontare la partita ha fatto entrare Pellegrini, Baldanzi e Dovbyk, oltre a Bailey. Pellegrini, Baldanzi e Dovbyk in estate dovevano partire. Gasperini aveva dato l’ok. La Roma, sapendo che non era facile, non è riuscita a piazzarli. Ma soprattutto non è stata in grado di rimpiazzarli. E questo è un dato di fatto. E se Gasperini è più amareggiato per l’infortunio di Dybala che per la sconfitta rocambolesca, significa che anche lui, come Ranieri e come Mourinho, sa che Dybala è l’unico che può fare qualcosa di utile sotto porta. Anche dopo una partita giocata da Dybala malissimo e chiusa peggio, con il rigore fatale sbagliato.

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A casa? Tutto bene?

Commentiamo calcio con le cuffiette alle orecchie. Prima di Roma-Parma si era diffusa la psicosi da partita casalinga. Agitati dalla canzone Campo Testaccio. Che mise in musica la mitica Roma di metà anni trenta, novanta anni fa, che nel mitico stadio con le tribune di legno bastonava ogni avversario. Due sconfitte all’Olimpico in campionato, più due in coppa, laddove la Roma in coppa in questi anni ha reso orgogliosi i tifosi e ha rappresentato al meglio il patetico calcio italiano, ma nei primi turni in coppa ha sempre stentato.

Due sconfitte casalinghe in campionato, diversissime tra loro. Pessima la Roma contro il Torino, nella canicola estiva di un match organizzato per mezzogiorno e mezza. Dignitosissima la Roma contro l’Inter, al punto che se fosse finita in parità la partita nessuno si sarebbe scandalizzato. Apriti cielo. Roma terra di conquista. La Roma che ha sempre basato i suoi successi(?) sui match in casa, ora regala punti a chiunque. Esagerazioni superficiali spesso derivanti dalla voglia di ostentare la presunta sfiga che storicamente attanaglia la squadra. La solita piacionata. La Roma che fuori casa le ha vinte tutte, mostrava secondo molti l’onta della vergogna perché i forestieri violavano l’Olimpico. Tipico di una piazza poco avvezza alla crescita, alla rottura del cordone ombelicale che si annoda alla gola al punto che non arriva più l’ossigeno al cervello. Roma-Parma, due a uno e tutti a casa. Spazzati via luoghi comuni piacioni e piagnoni. La Roma dopo nove partite è prima assieme al Napoli. Lotterà per lo scudetto? Magari, ma l’obiettivo prioritario è la lotta per un posto Champions, che non è un atto dovuto, perché Gasperini, che se i Friedkin sono furbi nomineranno monarca assoluto di Trigoria, è costretto partita dopo partita a fare esperimenti per la composizione di un tridente che colpevolmente in estate non è stato non solo completato, ma manco modificato. Nel mentre, ventuno punti su ventisette. Come il Super Napoli, più della Mega Inter, dello spendaccione Milan e della Juventus, a un oceano di distanza da Atalanta, Bologna e Lazio. Questa è la realtà. A cui si abbina un consiglio. Continuiamo a cantare orgogliosi Campo Testaccio, e a stendere striscioni o alzare pezze con scritte perentorie, tipo N’do nnamo dominamo.

Ma ricordiamoci che sono soltanto testi di canzone e lettere stampate che trasudano amore, passione e illogicità del tifo inimitabile romanista. La storia della Roma dice altro. Che Campo Testaccio non esiste più da una vita e al suo posto hanno provato a edificare qualsiasi cosa, e che se la Roma dovesse malauguratamente perdere altre due partite in casa, tutto dovremmo fare fuorché rompere i coglioni parlando di Olimpico terra di conquista. Altrimenti sarebbe un doloroso dovere ricordare cosa la Roma negli ultimi quarant’anni ha perso nel suo stadio (che si giocasse in casa, fuori o in campo neutro). Da una Coppa dei campioni sfuggita ai rigori a una Coppa Italia sanguinosa, da uno scudetto contro il Lecce a svariati passaggi di turno nelle coppe. Evitiamo. La Roma è prima.

In the box – @augustociardi75