Indizi da Glasgow: meno possesso, più dribbling e palloni in area per Ferguson. Per una maxi-vittoria in trasferta che mancava da quasi 2 anni

LAROMA24.IT – Glasgow per rivedere la luce, in senso strettamente metaforico viste le abitudini meteorologiche del posto. Ma la Roma torna dalla trasferta di Europa League avendo ritrovato gol, vittoria e la conseguente cucchiaiata di morale in vista del rettilineo finale del 2025 che la vedrà incrociare in ordine Como e Juventus, due dirette avversarie, e il rigenerato Genoa di De Rossi.

Nella gara di ieri la Roma ha toccato diverse “prime volte”. A partire da quella più rincuorante, la doppietta di Ferguson: l’attaccante non segnava più di un gol in una partita da oltre 2 anni, quando ne rifilò 3 al Newcastle nel settembre del 2023. Quelli di ieri, intanto, sono serviti a piegare la partita e regalare una vittoria in trasferta con 3 gol di scarto, come non succedeva da 44 trasferte, dall’1-4 al Monza del marzo 2024, un anno e 9 mesi fa.

Oltre ai numeri ritardatari, la partita di ieri ne ha offerti altri che suonano come indizi. Il primo: per la prima volta in stagione la Roma si è ritrovata con meno del 50% di possesso, il 43% per l’esattezza. E questo, per le preferenze delle squadre di Gasperini, non è per forza un aspetto negativo, consentendo di poter creare situazioni pericolose in transizione, dunque a seguito di una riconquista. Un aspetto che in Europa viene più facile alla Roma rispetto alla Serie A: se i dati di PPDA (passaggi concessi all’avversario) sono sovrapponibili, 8,9 fuori dall’Italia, primato in Europa League, e 9,8 in A, dietro solo al Como, quello che cambia è l’effetto di quel pressing. In Italia, la Roma riesce a convertire in tiri successivi soltanto l’11,34% di quelle riconquiste (terz’ultimo posto), lo stesso dato in Europa s’impenna al 20,59%, con 14 conclusioni arrivate a seguito di azioni di pressing, meno soltanto del Feyenoord nella seconda competizione europea. Come quella che dallo strappo di El Aynaoui ha portato al palo colpito da Ferguson. I vaccini e le precauzioni su possibili transizioni in Serie A sono più alti rispetto a quanto accade fuori, con partite più aperte a forti rovesci da un lato all’altro del campo in Europa.

Ieri, in più, altri due dati hanno favorito maggiori tassi di pericolosità offensiva: il più netto riguarda il 71,4% di dribbling completati o in generale di superamento degli avversari, quello che nel gergo statistico anglofono viene racchiuso nella dicitura “take-ons”. Una percentuale enorme per le abitudini della Roma che, fin qui, in stagione era arrivata a toccare al massimo il 55,6% contro il Pisa. Questo, di conseguenza, ha permesso alla Roma di rifornire il proprio riferimento offensivo al meglio che poteva: 7 i palloni toccati da Ferguson all’interno dell’area di rigore, il numero più alto per l’attaccante di proprietà del Brighton quest’anno. 7, tra l’altro, è anche il record per Dovbyk che l’ha registrato due volte: entrambe in Europa League anche per lui, contro Viktoria Plzen e Rangers. Al massimo, in Italia, all’ucraino sono spettati 5 palloni in area di rigore, contro il Verona. Quando finì 2-0, con la firma (anche) di Dovbyk. Meno possesso, più recuperi efficaci, più palloni in area per i propri attaccanti. Gli indizi da Glasgow, magari, serviranno alla caccia al tesoro anche per la Serie A.

Post Match – Zero calciare

LR24.IT (MIRKO BUSSI) – Cinque delle sei sconfitte stagionali della Roma portano la stessa etichetta: 0-1. Se quella col Napoli, per pericolosità offensiva, era stata la peggior partita prendendo come parametri il dato di xG, i tiri effettuati e i tocchi nell’area avversaria, il record è stato aggiornato, in negativo, domenica scorsa. Nonostante i 24 tocchi nell’area altrui, il doppio rispetto a quanto registrato contro il Napoli, possano ingannare per via di una maggior disponibilità di palle inattive, i 94 palloni gestiti nel terzo offensivo rappresentano il punto più basso della stagione, testimoniando a sufficienza le difficoltà che ha avuto la Roma a portare il pallone in avanti. Mai, finora, la Roma era scesa sotto le tre cifre per palloni portati nell’ultimo terzo di campo.

Numeri che poi, a catena, producono gli altri: 0,3 xG, 6 tiri complessivi, appena 2 nello specchio, i peggiori dei primi 100 giorni di stagione romanista. A Baldanzi e Ferguson, che si sono praticamente spartiti il ruolo più ingrato della giornata sono spettati appena 13 tocchi a testa. Per dare un’idea, Esposito e Borrelli ne hanno avuti 62 e 22 rispettivamente.

Spesso l’innocuità offensiva della Roma è stata ridotta al dibattito sull’utilizzo di un centravanti più canonico, come Ferguson o Dovbyk, o a quelli più atipici, come Baldanzi domenica e Dybala in altre occasioni. Oltre ai motivi di condizione, a cui fa riferimento anche Gasperini nelle interviste post partita, la ricerca di maggiori associazioni offensive, che Baldanzi o Dybala potrebbero offrire più facilmente, appare la risposta all’assenza di calciatori offensivi capaci di accendere pericoli autonomamente. Sintetizzando, di dribblare. E se non puoi dribblare, allora triangola, riporta uno degli adagi calcistici.

Ma quei triangoli, quelle combinazioni offensive, la Roma ha faticato a montarle. Per via di alcuni principi di costruzione che paiono far scontrare Gasperini con le sue stesse fortune. La diffusione di pressioni in parità numerica, con riferimenti sull’uomo che hanno eletto l’allenatore della Roma a trend europeo, rendono oggi molto più complesso progredire sulle catene laterali come amano fare le sue squadre.

Il 5-3-2 del Cagliari, infatti, aveva un segnale in codice per trasformare le proprie pressioni di attesa iniziale in pressing aggressivo per riconquistare il pallone. Quando i terzi di difesa, Mancini da un lato ed Hermoso dall’altro, ricevevano il pallone scattava l’uscita violenta della mezzala, Folorunsho o Adopo, con il quinto che stringeva forte sul proprio corrispettivo romanista e i terzi della difesa di Pisacane che pedinavano i trequarti romanisti, soffocando dunque le possibili combinazioni in catena. La ripetitività delle disposizioni della Roma in costruzione, col mediano di parte che spesso si abbassa o si apre nella prima uscita del pallone, facilitava il Cagliari nel prendere i riferimenti. Così come la netta preferenza per le progressioni laterali, consentiva alla squadra di Pisacane di sovraccaricare il lato forte per avere maggiori possibilità di riconquista.

Senza immaginare modifiche nei principi di costruzione consolidati da Gasperini, che dunque continuerà ad abbassare spesso i propri mediani e svuotare il centro per progredire lateralmente, anche la partita di domenica ha sottolineato come la ricerca del lato debole possa essere una soluzione sempre più necessaria per gli sviluppi romanisti. Così, infatti, viene messa in scena la migliore, potenzialmente, situazione offensiva della Roma.

Poco prima della mezz’ora, come si vede sopra, Koné si apre nel consueto movimento in ampiezza richiesto al mediano di parte. Stavolta la verticalizzazione su Pellegrini incontra i tempi di smarcamento di Pellegrini e Baldanzi che nella combinazione riescono ad apparecchiare centralmente il pallone per Koné per far distendere lo sviluppo sul lato opposto. Qui, nonostante le scalate reattive del Cagliari, il 3 contro 3 con Mancini, Celik e Soulé garantisce alla Roma una superiorità dinamica, data dal veloce cambio di scenario, che permette all’attaccante argentino di arrivare in una delle zone di rifinitura più pregiate “statisticamente”, quella identificabile tra il lato esterno dell’area di rigore con il perimetro laterale dell’area di rigore. La postura del quinto di sinistra del Cagliari, Obert, e la distanza nella marcatura di Rodriguez su Soulé, offrono alla Roma quel vantaggio dinamico che permette all’azione di progredire negli ultimi metri.

La giocata finale dell’argentino sarà poi chiusa in angolo dalla difesa del Cagliari. Ma emerge il messaggio generale: con gli avversari che pareggiano sempre più spesso le disposizioni che la Roma prepara sulle ampiezze, sapersi trasferire sempre più velocemente da una corsia all’altra può tornare a garantire tempi, spazi e opportunità per progredire. E aiutare a vivere meglio gli attaccanti a disposizione, finché non ne arriveranno di più autonomi.

Post Match – I rischi del mestiere

LR24.IT (MIRKO BUSSI) – Quelle vertigini difensive, a seguire il messaggio della Sud di domenica sera, testimoniano la voglia di volare. Il desiderio infuso da Gasperini all’interno della Roma è quello di spingersi in alto, calcisticamente ancor prima che metaforicamente. Questo, come ogni scelta tattica, ha delle controindicazioni. Che domenica si sono materializzate nella ripartenza con cui il Napoli ha guadagnato il vantaggio poi decisivo nel punteggio finale. L’efficacia difensiva della Roma è incisa nei numeri che la eleggono, dopo oltre un terzo di campionato, come la miglior difesa, eguagliata nell’ultimo turno dal Como, e come la seconda squadra in Italia, dopo l’Inter, a concedere meno tocchi all’avversario all’interno della propria area di rigore.

Il grosso del materiale avversario, in sostanza, la Roma riesce a smaltirlo grazie al proprio atteggiamento difensivo. Quel che travasa, però, va maneggiato con cura vista la potenziale tossicità. Dopo 13 giornate, infatti, sono 17 le ripartenze veloci (dato Opta) subìte dalla Roma: il dato più alto del campionato, al pari dell’Inter. 4 di queste hanno portato a gol avversari, anche qui il numero più alto della Serie A. Il conto viene facile: su 7 reti complessive subìte, più della metà nascono dalla stessa matrice. Un pallone perso nel terzo di campo più offensivo, una riaggressione saltata, il campo che si spalanca per l’avversario.

È quello che succede domenica sera. La Roma accerchia il Napoli portandolo a schiacciare 9 uomini all’interno o nei pressi immediati della propria area. Come spesso accade, il coinvolgimento dei terzi di difesa in questo tipo di sviluppi è evidente: Hermoso è in possesso del pallone a circa 22 metri dalla porta avversaria, Mancini ha trascinato con sé Lang per invadere l’area di rigore. Sono 8 i giocatori della Roma oltre la linea del pallone, i compiti preventivi vengono assegnati a Cristante, in prima battuta, con Ndicka come ultima sentinella difensiva. Paradossalmente, conoscendo l’abilità del Napoli nel rovesciare il campo, i controlli preventivi della Roma erano anche superiori alle abitudini, evitando situazioni di parità numerica.

Quando il pallone sguscia via in maniera dubbia dal controllo di Koné, però, il primo sistema di protezione, la riaggressione immediata, non scatta in maniera adeguata. Un po’ per la reazione tardiva di chi si trova nei pressi, un po’ perché, intorno, erano più i giocatori del Napoli che della Roma. Ne esce fuori Neres con una conduzione insistente che fa emergere un 2 contro 2 con Hojlund come vertice offensivo e Cristante e Ndicka come oppositori. Situazioni ad alto rischio che la Roma sta imparando a maneggiare quotidianamente perché effetti, naturali, di quell’atteggiamento aggressivo con cui è stata concepita. A rendere incendio la miccia iniziale sono poi i comportamenti adottati da Cristante e Ndicka che non riescono a ritardare lo sviluppo avversario, permettendo magari il rientro al galoppo del resto della truppa. Cristante, infatti, viene prima fatto fuori dal passaggio e poi superato agilmente dal divario di rapidità e velocità che favoriva Neres. A quel punto, nel 2v1 che ne consegue, la teoria generale vorrebbe che Ndicka, l’ultimo difendente, eviti una collaborazione tra i due giocatori, mantenendo una posizione più centrale escludendo o almeno complicando la linea di passaggio. Ma quando il difensore ivoriano accorcia su Hojlund, il varco centrale in cui sottolineare la progressione di Neres diventa troppo ghiotto per il Napoli e a quel punto irrecuperabile per la Roma. La complessità della situazione non può essere risolta addossando le colpe ad un unico comportamento ma nella gestione dell’imprevisto, con cui la Roma dovrà sempre più imparare a convivere, guadagnare del tempo sarebbe stato vitale.

Pochi minuti dopo una situazione simile, anche se di grado inferiore per pericolosità, viene gestita in maniera più efficace. Lì un’altra conduzione frenetica di Neres, nata nuovamente a seguito di un recupero del Napoli all’interno della propria area di rigore, viene fatta spegnere dal comportamento di Ndicka che, ritardandone lo sviluppo, consente, al momento del traversone tentato da Hojlund, di aver riportato 4 elementi in più (Hermoso, Koné, Cristante e Celik) già nei pressi o all’interno dell’area romanista.

Situazioni ad alto rischio come quella di domenica si sono già manifestate nel primo terzo di campionato. Basti pensare al gol decisivo del Torino all’Olimpico o a quello del Milan a San Siro. La Roma potrà ridurle, aumentando magari la propria incisività offensiva che permetterà di concludere più volte verso la porta e annullare dal principio possibilità di transizioni per l’avversario, ma dovrà comunque impararci a convivere in maniera sempre più sostenibile. Ad oggi, quella che è la miglior difesa del campionato, concede anche i tiri più pericolosi del campionato: 0,11 il dato di xG medio dei tiri verso Svilar, pari in Italia solo a Cagliari e Genoa. Sono vertigini, sintomo della voglia di volare.

Post Match – La svolta

LR24.IT (MIRKO BUSSI) – L’immagine che dà la copertina a Cremonese-Roma è in quell’esultanza anacronistica, quasi da filmografia anni ’80, di Gasperini costretto in tribuna per il finale della partita. Da lì ha goduto dello 0-3, prima del gol nel finale della Cremonese, una rete, quella di Wesley, che a fine partita gli farà dire: “Quando fai un gol come il terzo vuol dire che hai svoltato: ora abbiamo più sicurezza, fiducia e convinzione nel fare gol”.

Quel terzo gol della Roma è un concentrato di alcuni gusti tipici del calcio secondo Gasperini. Nasce da una seconda palla guadagnata su rinvio dal fondo giocato lungo da Svilar. Un tratto tipico: solo Verona e Parma (con l’Atalanta subito dietro la Roma…) calciano più rinvii lunghi rispetto ai giallorossi, che non amano stressare costruzioni dal basso, in particolare su rimessa dal fondo. Preferisce, invece, stabilizzare un possesso più alto magari dopo aver guadagnato e ripulito una seconda palla. Come avviene in questo caso. Con Koné che invita poi Celik, accompagnato da ampi cenni con le mani, a rimodulare lo sviluppo passando sul lato opposto. Per questo si riavvolge da Ndicka, arrivando poi a Mancini, spostato sul centro sinistra.

Qui emergono, nitidi, quei quadrilateri di progressione che solitamente Gasperini installa sulle proprie catene laterali. Ma ora hanno colori più vividi, grazie al tempo e alla ripetizione di alcune situazioni che permettono di animarle: Wesley, infatti, rimbalza in un contromovimento fuori-dentro che lo aiuta a scucire la pressione avversaria, El Shaarawy e Ferguson sono scaglionati tra loro, disposti cioè su altezze diverse, e possono più facilmente entrare in comunicazione. Movimenti preparatori che hanno un’alta incidenza sulle giocate successive. La sincronia con cui questi avvengono, ora, permette alla Roma di sgusciare velocemente fuori dalla pressione avversaria.

Rispetto a qualche giornata fa, ora, i giocatori sembrano maneggiare con più naturalezza queste forme create in campo, trovando collaborazioni più rapide ed efficaci. Ne è un esempio anche la triangolazione interna di Koné con Pellegrini nel primo gol, dejavu di quanto accaduto nel gol all’Udinese prima della sosta.

Quando la scelta accorcia i propri tempi d’elaborazione avvicinandosi all’istinto, allora lì la squadra si fa fluida nella propria espressione. Ecco perché quel senso di “svolta”, percepito e poi manifestato pubblicamente da Gasperini. Che del suo ce l’ha messo per facilitarlo, oltre che nel lavoro quotidiano anche nel bilanciare gli ingredienti. Wesley a sinistra, adesso, prende un senso più compiuto offrendogli quelle corse in profondità, quell’imprevedibilità che nessuno da quel lato, per caratteristiche, può offrirgli. Abbinato a Mancini, che negli ultimi tempi ha traslocato a destra, portando ulteriore scompiglio con i suoi inserimenti su un lato che rischiava di irrigidirsi per la presenza di un quinto con meno varietà di soluzioni tecniche come Celik. Perché quel rumore di svolta può valere molto di più di una classifica parziale di novembre.

Post Match – Gasperini al tempo della Roma

LR24.IT (MIRKO BUSSI) – Alcuni dei migliori cocktail hanno la dicitura “sbagliato” che non ne comprometterà comunque il successo. La ricetta resta basata sull’originale ma la mancanza o la sostituzione di un ingrediente ne offre una sfumatura differente. È circa quello che sta facendo Gasperini alla Roma. Senza avere sul balcone i gusti preferiti in materia offensiva, il gusto della sua squadra oggi risulta meno affilato, meno esplosivo rispetto a quello che veniva versato ormai in tutti i bar di Bergamo.

Ha bisogno, invece, di tempi più dilatati per far emergere il suo desiderio. Come succede nel gol del 2-0 di domenica contro l’Udinese, arrivato al culmine di 22 passaggi consecutivi, iniziati da Svilar nella propria area e conclusi da Celik in quella altrui. Dentro si riconosce, nitido, il tocco dell’allenatore, seppur sfumato con gli ingredienti ora a disposizione.

Al principio, si vede Svilar scattare al limite dell’area con il pallone in mano e l’intenzione di avviare una ripartenza. Ma ha più giocatori alle spalle che davanti e nessuno, tra Pellegrini, Soulé o Baldanzi, ha nel navigatore la direzione della porta come destinazione preferita, in particolare su distanze lunghe. Questione di ingredienti, appunto.

Nel miscelare l’azione, allora, ecco i tratti tipici delle preparazioni di Gasperini: a sinistra prima e a destra poi, si compongono quei quadrilateri di progressione che vedono coinvolti terzo di difesa, quinto laterale, mediano e trequarti di parte, pronti ad avanzare in catena. Quando Soulé pare accennare all’uno contro uno tenendo in mano la riga laterale come preferisce, nessun romanista ha l’istinto di attaccare l’area di rigore, totalmente presidiata da difensori dell’Udinese. Anzi, è Mancini, utilizzato ultimamente da terzo e non più da centrale proprio per questa tendenza, il più minaccioso come si vede sotto. È un ulteriore aspetto ritardante sullo sviluppo, che va a riannodarsi nuovamente spostandosi sul lato opposto.

Sul nuovo cambio di lato, tratto tipico delle fasi di possesso di Gasperini, spicca come all’interno del blocco difensivo dell’Udinese, ora ricomposta interamente nella propria metà campo, non vi sia posizionato alcun giocatore della Roma. Tutti sono disposti in ampiezza o quasi, proprio a sottolineare le strutture che le squadre di Gasperini ricercano per gli sviluppi offensivi. Questa scelta, in alcuni casi, complica il superamento di blocchi difensivi medio-bassi e che sono in grado di scivolare rapidamente sul lato forte, complicando le combinazioni sulle catene laterali ricercate dall’allenatore della Roma.

Sarà Koné, dopo triangolazione interna con Pellegrini, a riuscire a sbucare all’interno della struttura difensiva dell’Udinese, dando di conseguenza pericolosità allo sviluppo offensivo della Roma.

Da qui, ora, la Roma può trovare l’area di rigore, rigorosamente da un accesso laterale come da preferenza di Gasperini. Sul pallone a Celik, ecco la sovrapposizione interna di Mancini, il terzo invasore, in un altro connotato tipico degli sviluppi offensivi dell’allenatore. Triangolazione (di nuovo…) chiusa e finalizzazione del laterale turco. A quel punto, l’area avversaria era stata inondata da 7 giocatori della Roma. Oltre ai due protagonisti, ci sono i tre giocatori più offensivi, il quinto opposto (Wesley), più Koné. Tutto come da ricetta originale. Ma con 22 passaggi di mezzo, una lavorazione decisamente più lunga rispetto al moto vorticoso che Gasperini era solito accentuare nelle sue squadre. Ma questa è la Roma “sbagliata”, che comunque funziona.

Post Match – Perché sono stati invertiti Mancini e Ndicka

LR24 (MIRKO BUSSI) – Come era già successo contro il Parma, anche a San Siro Gasperini ha invertito le posizioni di Ndicka e Mancini. L’ivoriano era nuovamente il centrale dei tre, con Mancini sistemato sul centro destra. Una scelta che, oltre a tener conto del duello con Leao da quel lato, pare affondare le motivazioni nella continua ricerca di Gasperini verso una maggiore propulsione offensiva. L’aspetto che più manca alla Roma per completare la trasformazione è nella capacità di rovesciarsi in area di rigore, che sia su sviluppi offensivi o ancor più su transizioni. Quello per cui, ultimamente, Cristante è stato riportato più avanti. Così da garantire quelle corse a riempire l’area che compensino i vuoti lasciati naturalmente dalle caratteristiche dei giocatori offensivi.

Soulé, come Dybala, Pellegrini o Bailey, tendono a ricevere sui piedi, dunque con movimenti incontro, al limite in ampiezza o in zone di rifinitura. Così, ad attaccare le profondità e dare quella necessaria pendenza verticale agli sviluppi e alle transizioni serviranno altre corse. Che domenica sera Gasperini ha cercato anche da Mancini, spostandolo dal centro.

Al 5′, le intenzioni sono già chiare sulla catena di destra: Mancini avvia lo sviluppo e si lancia in proiezione offensiva, bilanciando così il movimento incontro di Soulé che sta per innescare la profondità di Dybala. Per ulteriori chiarimenti, guardare la quarta foto della sequenza sopra: al momento in cui l’argentino entra in area di rigore, il romanista più avanzato è proprio Mancini, pronto ad invadere l’area.

Questa maggiore partecipazione offensiva di Mancini ha inevitabilmente delle ripercussioni nelle gestioni preventive. Come emerge dalla transizione lunga che porterà poi all’1-0 del Milan: anche in quello sviluppo da destra, c’è Mancini in area ad impegnare i centrali di Allegri. Stavolta, però, sul recupero dei rossoneri non scatta adeguatamente la riconquista immediata della Roma e il Milan può srotolarsi in campo aperto. Con Ndicka che ha dovuto caricarsi il compito del duello con Leao, inizialmente allentato per garantirsi più copertura centrale ma con l’effetto di far sfogare la capacità di conduzione dell’attaccante rossonero.

I numeri finali di Mancini, con più tocchi tra tutti i romanisti nel settore centrale del campo, i 5 passaggi completati verso gli ultimi trenta metri (2° solo dietro a Cristante), il dato di distanza progressiva, verso la porta avversaria, guadagnata tramite passaggi, spiegano come il decentramento del numero 23 possa aumentare la forza d’urto della Roma. Che più che scassinare la serratura avversaria, vorrebbe buttare giù la porta altrui con invasioni prepotenti e quelle ondate tipiche di cross o transizioni veloci che hanno reso celebri le squadre di Gasperini in passato. Che per questo, probabilmente, continua a sistemare l’acconciatura della sua squadra fino a quando ci si potrà specchiare completamente.

Gasp è il migliore. Ma noi deppiù

Tutti noi, ieri, già dal quinto minuto del primo tempo, avremmo preso per il collo, del piede, i calciatori della Roma per stimolarli a tirare di collo, del piede. Passa la nottata, e non l’amarezza, ma al risveglio, a freddo, possiamo farci una domanda: noi che al massimo abbiamo giocato i tornei scolastici e parrocchiali siamo davvero nella condizione di insegnare ai calciatori professionisti come si calcia il pallone?

Davvero pensiamo di poterci fare spazio tra Gasperini e i suoi collaboratori per urlare da bordo campo a Dybala, Baldanzi, Cristante, El Aynaoui, Pellegrini, Kone e Dovbyk che devono tirare la botta? Riflettendo, stamattina, io sono arrossito per avere pensato queste cose durante e dopo Milan-Roma, o a margine di Roma-Inter. Ma d’altronde siamo il popolo che va dal medico e gli presenta la diagnosi prima di essere visitato, che va dal meccanico e gli indica dove intervenire.

Da tifosi della Roma, negli ultimi anni siamo diventati persino urbanisti, archistar ed esperti di finanza, capaci di spiegare a presidenti di club, giunte comunali e regionali come e dove si fanno gli stadi. Esperti persino di carotaggio. La Roma aveva un problema che non è stata capace di risolvere. Viviamo nella città in cui se muovi una critica al mercato estivo si pensa che dietro la critica ci sia un retrogusto acido, figlio di antipatie nei confronti della direzione sportiva. E siamo così presuntuosi da credere che i calciatori siano così stupidi e gli staff tecnici così impreparati da non rendersi conto che basterebbe tirare la botta per trasformare le serate post sconfitta nel carnevale di Rio.

Siamo convinti che se Pellegrini, El Aynaoui, Kone e Baldanzi fossero allenati da Conte affiancherebbero nella classifica marcatori Anguissa e Mc Tominay? La Roma segna poco, per caratteristiche e lacune. Da anni. Ci sono stati tecnici che, preso atto di tali lacune e caratteristiche, hanno provato a sfruttare le peculiarità del gruppo, ossia difendere i magri bottini realizzativi, anche a scapito del calcio champagne che tanto piace oggi. Gasperini sta provando a scardinare questo sistema, lavorando sul campo a modo suo. In modo serio. Identificativo. Anche a costo di commettere errori, anche quando la cosa più banale e stupida diventa etichettarlo come quello che “sta a fa er fenomeno” perché costretto e continuo a modellare il reparto offensivo per trovare la formula giusta. E soprattutto Gasperini fa l’allenatore, non le convergenze ai piedi.

A inizio agosto disse che gli obiettivi della Roma sarebbero stati determinati dagli acquisti in attacco nelle ultime quattro settimane di sessione estiva. La Roma aveva già preso in prestito un potenziale buon calciatore, Ferguson, che nell’ultimo anno aveva visto tanti lettini dei fisioterapisti, poco campo e pochi palloni finire in porta. E da inizio agosto al due settembre avrebbe preso soltanto Bailey, calciatore utilissimo in quanto uno dei pochi che salta l’uomo, ma storicamente incostante e con scarsa propensione realizzativa. Non è ingeneroso urlare contro la televisione quando Cristante (uno dei pochi che sa tirare da fuori) fa ballonzolare il pallone lontano dalla porta e se El Aynaoui passa la palla a Maignan, al pari di Pellegrini nel secondo tempo. Ma pensare che i problemi di una squadra, che comunque ha un solo punto in meno del Napoli che ha tre centravanti e che ha pagato il meno dotato trentacinque milioni, siano legati soltanto all’addestramento dei calciatori durante le sedute a Trigoria, è ridicolo.

Gasperini ieri per rimontare la partita ha fatto entrare Pellegrini, Baldanzi e Dovbyk, oltre a Bailey. Pellegrini, Baldanzi e Dovbyk in estate dovevano partire. Gasperini aveva dato l’ok. La Roma, sapendo che non era facile, non è riuscita a piazzarli. Ma soprattutto non è stata in grado di rimpiazzarli. E questo è un dato di fatto. E se Gasperini è più amareggiato per l’infortunio di Dybala che per la sconfitta rocambolesca, significa che anche lui, come Ranieri e come Mourinho, sa che Dybala è l’unico che può fare qualcosa di utile sotto porta. Anche dopo una partita giocata da Dybala malissimo e chiusa peggio, con il rigore fatale sbagliato.

In the box – @augustociardi75

Serie C: Okaka ancora in gol di tacco. L’ex Roma decisivo in Ravenna-Ascoli (VIDEO)

Stefano Okaka l’ha rifatto ancora. Come in quel 31 gennaio 2010, quando decise Roma-Siena con un colpo di tacco, ieri in Ravenna-Ascoli l’attaccante classe 1989 ha ribadito praticamente sulla linea di porta una respinta del portiere usando ancora una volta il tacco. Gol che poi è risultato decisivo per la vittoria del Ravenna, ora al 2° posto a -1 dall’Arezzo capolista nel girone B di Serie C.

GUARDA IL VIDEO DEL GOL

Stalking contro Claudio Lotito: “Vendi la Lazio”. I pm ora indagano sui capi della curva nord

Minacce telefoniche e messaggi intimidatori verso Claudio Lotito che hanno portato gli inquirenti a pensare ad una manovra organizzata e non a casi isolati. “Ti veniamo a prendere”, “Vendi la Lazio”, il contenuto delle frasi che si ripetono verso il presidente laziale. Due tifosi risultano indagati per stalking e minacce, con le ricerche che ora puntano a ricostruire eventuali legami con i vertici della Curva Nord tramite mappatura delle chat, celle telefoniche e interazioni incrociate.

Già in passato, tra il 2005 e il 2006, Lotito fu vittima di operazioni di pressione e intimidazione. All’epoca la manovra era diretta da ‘Diabolik’, soprannome di Fabrizio Piscitelli, che insieme ad altri 3 esponenti nel 2015 fu condannato in primo grado per tentata estorsione.

(Repubblica)

Capello: “La Roma può stare al vertice: sarà una sorpresa”

SKY SPORT – Al consueto Club che chiude la domenica calcistica sull’emittente satellitare, Fabio Capello ha parlato così della prestazione e dell’inizio di stagione della Roma: “I giallorossi hanno dimostrato che nelle posizioni di vertice può starci. Ha una squadra che ha nel DNA quello che Gasp vuole vedere: grande determinazione, voglia, sacrificio da parte di tutti. Soulé e Dybala hanno corso e pressato nel recupero palla ed è un segno. Secondo me questa Roma sarà una sorpresa per tutto l’anno”.

Poi sulle scelte di Gasperini: “Forse qualcosa in più Gasperini poteva farla, mettendo prima una punta: ci sono stati molti cross, ma non c’era un colpitore vero. Anche sui calci d’angolo non è mai stata pericolosa. Però mi è piaciuta molto”.