PELLEGRINI: “Non darò mai anche solo l’1% in meno fino a quando sarò qui. Ho pensato di andare via. Futuro? Ora c’è da giocare”

IL ROMANISTA (T. CAGNUCCI – D. LO MONACO) – Torna a parlare Lorenzo Pellegrini. Il numero 7 della Roma ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano a tinte giallorosse. Tanti i temi: dall’amore per la Roma al futuro. Le sue parole:

Lorenzo, partiamo dalla fine: da Milano. Hai visto dove stava andando la punizione? Hai avuto modo di rivederla? Andava all’incrocio dei pali…
«Purtroppo sì. Lì per lì però uno vede che è fallo di mano, che è rigore… E si è contenti. Si pensa: “Va bene anche così”. Poi è successo quello che è successo. Però ci sono tanti spunti positivi da prendere nella partita di Milano. Io sto qua da dieci anni, poche volte ho visto la Roma giocare così a San Siro e secondo me siamo sulla strada giusta. Poi è normale, bisogna dare il tempo giusto alle cose, per poter apprendere ciò che ci chiede il mister. Io sono convinto che questa sia la strada giusta».

Vi trovate bene in campo? All’inizio delle partite sembra che dobbiate sempre capire un po’ dove siete… E avete faticato. Avete assimilato il gioco di Gasperini? Vi ci state trovando?
«Secondo me sì. Le difficoltà tattiche dipendono anche dagli altri. Come col Lille: abbiamo perso e fatto fatica, inizialmente, dato che loro avevano uno dei giocatori tra le linee e bisognava andare a prenderlo diversamente da come avevamo preparato. Poi si lavora su quella che è la preparazione della partita. Per quanto ci riguarda, sempre in corrispondenza degli avversari. A volte, non accade ciò che ci si aspetta e serve qualche minuto per capire bene che cosa sta accadendo. Ma siamo sempre riusciti a rimettere la partita sui binari giusti. Anche a Milano, contro un Milan che si chiude bene, riparte e ha una squadra di livello, ci siamo messi lì e abbiamo giocato. Nel primo tempo c’è stata una grande mezz’ora; poi abbiamo sofferto negli ultimi 10’ e siamo andati così così all’inizio della seconda frazione. Ma poi la gara è stata abbastanza a senso unico».

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Gasperini vi parla del vostro obiettivo? Lui ha parlato di obiettivi tecnici ed economici. E sembra non precluda nulla…
«Perché dovremmo precludere qualcosa? Siamo tutti i giorni qui, lavoriamo tanto per cercare di migliorarci e di far andare bene le cose. Il mister ci dice cose in cui io credo, ovvero che dobbiamo concentrarci sul campo. Col Milan abbiamo fatto 20 tiri in porta, 30 cross e zero gol. Sono quelle le cose in cui dobbiamo migliorare. Essere più cinici, tante volte, è anche un discorso di testa. Spesso ci si fissa: “Ora non entra…”. Invece no. Gasperini dice di migliorarci sulle cose in cui dobbiamo migliorare; tutto ciò che riguarda l’impegno, la dedizione, la determinazione. Nelle ultime cinque partite, anche il modo di giocare è cambiato in positivo. Poi, fra un po’ di tempo, ci daremo un obiettivo più concreto. Parlare adesso è anche un po’ inutile».

Hai detto di aver visto raramente una Roma come quella di Milano…
«Con Daniele (De Rossi, ndr) la vidi. È la verità. In Europa League».

Gasperini è diverso come allenatore? Vi fa lavorare più degli altri?
«Sì. Ci fa lavorare, cerca di farci entrare anche a livello mentale nel suo modo di vedere il calcio. Per questo dico che siamo sulla strada giusta: è passato poco tempo, ma già si notano tante cose diverse da quelle di prima. Anche le richieste lo sono».

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E tu che rapporto hai con Gasperini? Ora non hai più la fascia, ma stai giocando e sembra che ti tratti con onestà e quasi ammirazione…
«È la verità. Anche negli anni scorsi, quando io portavo la fascia la domenica, ho sempre detto che la fascia è di chi la porta tutti i giorni. Di chi non viene mai un minuto in ritardo a Trigoria, perché è una questione di rispetto verso se stessi e verso tutti i professionisti che sono qui. Di chi ha sempre un atteggiamento propositivo coi compagni. Di chi non si preoccupa solo di se stesso, ma del bene del gruppo. Questo per me è essere un capitano e quello che ho provato sempre a essere. Non solo quando avevo la fascia al braccio, è uguale oggi che non ce l’ho».

In estate, tra l’altro, Gasperini ha parlato di te. E ha detto che la questione del tuo “recupero” doveva essere condivisa da società e tifosi. Che effetto ti hanno fatto quelle parole?
«Secondo me il mister è una persona molto schietta, lo apprezzo tanto per questo. Ci siamo confrontati quando ero ancora infortunato e lavoravo a parte. Una volta rientrato in squadra, mi ha sempre trattato come uno degli altri, senza problemi. Io non so che voci gli fossero arrivate… Né lui, né io siamo persone che hanno bisogno di parlare un’ora tutti i giorni. Però, quando ci si parla, si dicono le cose come stanno. Poi basta. Si è chiuso il calciomercato, sono rimasto qui e abbiamo lavorato in campo».

Sei rimasto qui, ma hai avuto la possibilità di andare via? Ci sono state offerte? Ci hai pensato?
«Ci ho pensato, ovviamente. E più che offerte, ci sono stati interessamenti. Ma comunque quell’infortunio è stato troppo determinante in quel momento. Ancora non mi allenavo con la squadra; ho fatto la prima panchina simbolica a Pisa, dopo essermi allenato una volta con gli altri. In più, sono uno a cui non piacciono le cose fatte all’ultimo: se devo fare una cosa, devo pensarci bene, essere convinto di ciò che faccio».

Ora non c’è più da pensarci…
«No, ora no (ride, ndr). Ora c’è da giocare. Poi, quel che sarà, sarà».

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Parlavi di De Rossi prima.
«Per me Daniele è e sarà un grande allenatore. Spero che a breve possa tornare in panchina, perché quello che ho visto in lui sul campo – e non parlo di lui fuori dal campo, dato che tutti conoscono il nostro rapporto – lo fa apparire ai miei occhi come un allenatore importante. Forte, preparato. Che studia bene l’avversario e che mette il giocatore nelle condizioni di entrare, la domenica, e sapere tutto ciò che succede. Era facile giocare con lui allenatore».

Raccontaci di quando hai cacciato Mourinho…
«Sì… (ride, ndr). A me piaceva Mourinho. Quello che è accaduto, e che mi è stato detto, è che a lui quando è andato via è stata raccontata una cosa che non era vera. Ma io non potevo lasciar correre questa cosa così, per il rapporto che ho con lui».

Con lui poi, nell’anno della Conference, hai fatto una grande stagione…
«Quelle sono le cose che rimangono. La coppa è storia. Poi ci fu la mia grande stagione… Ma è proprio il rapporto che rimane. Il giorno stesso ho preso il telefono e ho chiamato Mourinho».

Ti ritieni un ragazzo introverso?
«Mah, introverso… Sicuramente non sono uno “stupidino”. Per me la romanità non è essere stupidini o frivoli. Ma venire qui tutti i giorni, dare il 100%. Io non sarò mai Totti, non sarò mai De Rossi. Sono Pellegrini. Non darò mai anche solo l’1% in meno fino a quando sarò qui. Ma non parlo della domenica. Parlo di ciò che accade tutti i giorni qui, a Trigoria».

E perché la gente ce l’aveva con te, per un periodo? Per il fatto che eri tu il capitano? Per la storia di Mourinho?
«Magari sì, magari un po’ tutto. Poi bisogna essere onesti, e io lo sono: quella dell’anno scorso è stata una stagione brutta brutta. Anche al livello delle prestazioni, del giocatore, del professionista. Lasciamo stare Lorenzo, la Roma, la romanità. È stata una stagione brutta. Quello ci sta. Se vengo criticato per la prestazione, è un discorso. Siamo professionisti, è lecito. Io come giocatore posso piacere, non piacere, stare o non stare simpatico. La cose che mi manda in bestia è che dentro questa città si parli di cose che non accadono mai. Che succedono al di fuori, nella testa di qualcuno. E da quella testa, quella cosa riesce a entrare in altre cinquantamila teste. È quello il problema».

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Anzi. La cosa più bella che hai fatto con la maglia della Roma è…
«La corsa in Roma-Venezia…».

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C’è stato un momento difficile che hai attraversato a livello personale l’anno scorso e che magari ha inciso sul tuo rendimento.
«Sì perché a un certo punto alle chiacchiere inventate su di me ho dovuto sopportare anche la scomparsa di mia nonna, a cui ero legatissimo. Nonna Michelina. Non è stato facile e forse ne ho risentito».

Ci racconti il rapporto con la Curva Sud? Anche nelle contestazioni, i fischi non sono mai arrivati da quella parte di stadio…
«Io nella Sud mi riconosco tanto. Se ti devono dimostrare il loro dissenso, te lo mostrano a fine partita. Per una sconfitta o per una prestazione non all’altezza della maglia che indossi. Non per partito preso o per sentito dire. Cose non vere, tra l’altro. Quindi mi riconosco nel loro modo di ragionare, anche nel fatto che se c’è un momento difficile è quello il momento di non disunirsi e restare insieme. Mio padre mi dice sempre che tifava la Roma quando arrivavamo 17esimi o 16esimi… la Roma si tifa a prescindere. Non si discute, si ama. Poi se vogliamo, possiamo stare 15 ore a parlare della tattica, del tiro di piatto… la verità è che uno nei momenti difficili vede davvero quali sono le persone che ci tengono. Gli altri non li calcolo proprio».

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Qual è il tuo sogno da calciatore adesso?
«Il mio sogno adesso? (Ci pensa un po’, ndr). Il mio sogno è capire di che livello sono. Il mio sogno era giocare per la Roma e vincere con la Roma. Ho avuto la fortuna di realizzarlo, vincere è sempre un sogno, poi con questa maglia… Ma la mia romanità è amare la Roma a prescindere».

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