Post Match – Distanze di sicurezza

LR24 (MIRKO BUSSI) – Per uscire dal fango del primo tempo, domenica Claudio Ranieri ha cambiato la trazione della squadra, montandola su un 4-4-2 che già in questi mesi ha più volte utilizzato come assetto di riserva. La modifica, se in costruzione scivolava agevolmente visto che la Roma spesso si predispone a 4, gracchiava pericolosamente nelle pressioni offensive. Qui, infatti, quando la squadra di Ranieri vuole darsi un tono più aggressivo nelle riconquiste mantiene orientamenti sull’uomo che ora diventavano più complicati da assecondare. Il risultato è stato di una squadra che perdeva le distanze di sicurezza, si allungava facilmente a cui, di conseguenza, doveva sopperire con lunghe corse che, alla fine, produrranno il dato di chilometri percorsi più alto del 2025: oltre 121 chilometri.

L’immagine del 52′, ad inizio secondo tempo, riassume le difficoltà: quando Dovbyk tenta di allungare la pressione sul portiere avversario, Caprile, le due linee da 4 romaniste offrono spazi intermedi di ricezione particolarmente dolorosi. La giocata diretta dell’estremo difensore va ad incendiare proprio quella zona, con un 4v4 che terminerà con la pericolosa girata in area di Piccoli.

 

L’utilizzo di Caprile era il filo tramite cui il Cagliari scuciva la maglia di pressioni della Roma. I richiami al proprio portiere della squadra di Nicola servivano a tirare avanti Dovbyk e con sé le prime uscite romaniste, con Adopo che rimaneva come uomo dispari tra le linee mentre Koné e Paredes, la coppia centrale romanista, avevano in dote gli altri riferimenti nel ruolo, Prati e Deiola. Si accendeva un altro 4 contro 4 che stavolta si sfogava nella profondità di Piccoli su Ndicka, fino al tiro in diagonale dell’attaccante del Cagliari.

Scenario simile verrà riproposto una manciata di minuti dopo, al 68′. Il gioco delle coppie stavolta offriva a Makoumbou una facile ricezione alle spalle della prima pressione romanista, su passaggio chiave nuovamente di Caprile, timbrando nuovamente le difficoltà della Roma ad evitare giocate interne. A quel punto la squadra giallorossa, sul successivo sviluppo a destra, era costretta a precipitarsi verso la propria area per ricomporre qualcosa di paragonabile ad un blocco difensivo. Il cross di Zortea portava al tiro di Piccoli, un altro spavento prodotto dal Cagliari. Cambiare trazione, a volte, obbliga a cambiare anche lo stile di guida.

 

Post Match – Cosa cambia con Dovbyk o Shomurodov?

LR24 (MIRKO BUSSI) – Uno era rimasto per caso in estate, l’altro è arrivato come principale colpo di mercato considerando l’investimento. Uno, per anni, è stato elevato a paradigma di operazioni di mercato sbagliate, l’altro valeva come rappresentazione plastica delle ambizioni estive. Per mesi, uno indiscusso titolare e l’altro eventuale arma di riserva. Oggi, a poche ore dal punto più atteso, almeno per il momento, della stagione della Roma, il conto alla rovescia è accompagnato da un dubbio: Dovbyk o Shomurodov?

L’ultima gara con l’Empoli, in cui hanno partecipato entrambi, ha sottolineato cosa cambia nella Roma con la presenza dell’uno o dell’altro.

Shomurodov e Dovbyk hanno dna calcistici differenti e questo produce interazioni diverse nell’organismo di squadra. L’uzbeko prende aria lontano dalla porta, l’ucraino vive invece per l’area di rigore. Lo si nota chiaramente dal numero di tocchi ogni 90 minuti: quasi il doppio per Shomurodov, 42,8 a partita, rispetto a Dovbyk, 24,4, comunque aumentati rispetto alle abitudini che aveva al Girona.

A Shomurodov, come si è visto più volte nel primo tempo di Empoli, piace abbassarsi e mettersi in linea con chi gli si muove sotto, come Soulé e Pellegrini domenica scorsa. Questo facilita le possibili combinazioni, il suo variare la posizione complica le interpretazioni difensive dei suoi marcatori, dilatandone le distanze e, di conseguenza, offrendo golose opportunità di inserimento. Ne hanno approfittato in più occasioni Pellegrini e Koné.

Dovbyk è invece un riferimento più fisso, impegna e fissa centralmente i propri avversari, svuotando quei canali intermedi che nel tempo sono stati codificati come “mezzi spazi”, l’area identificabile tra le proiezioni delle linee dei vertici dell’area di rigore e dell’area piccola. Da quello di centro-destra, ad esempio, riceve Baldanzi nel finale di Empoli-Roma e a quel punto Dovbyk può fare quello che preferisce: attaccare la profondità, ancor più se su taglio.

Quella tendenza di Shomurodov a svuotare il centro, domenica scorsa, ha permesso di ricevere palloni centrali in rifinitura anche a Soulé, come nelle prime due foto qui sotto. E allungare pericolosamente le distanze tra i centrali difensivi di D’Aversa, tanto che Koné, in una delle migliori combinazioni della partita, legge e divora quel varco con un inserimento che lo porterà di fronte a Silvestri.

Dovbyk, al contrario, vuole guadagnarsi il contatto con la porta il prima possibile, rendendosi disponibile a giocate da pivot che permettano l’accesso a zone di rifinitura o di finalizzazione dal limite dell’area solo quando ha esaurito le possibilità di smarcamenti utili per minacciare il portiere avversario. Inevitabilmente, in porzioni così avanzate di campo, gli spazi d’inserimento sono ridotti e la qualità necessaria per accedervi ha un prezzo più elevato. Il margine d’errore su una profondità di 3 metri è, intuitivamente, ridotto rispetto a quello ammesso per un passaggio decisivo con 15 metri di disponibilità in cui far cadere il pallone.

La fluidità che sa raggiungere la Roma nelle combinazioni offensive quando ha Shomurodov come riferimento offensivo viene tradotta nel numero più alto di SCA (opportunità di tiro) prodotte dal numero 14 (3,32 ogni 90′) rispetto a quelle di Dovbyk (1,82  a partita). Shomurodov calcia anche più di Dovbyk, in realtà di tutta la rosa giallorossa, con 3,74 conclusioni a partita contro le 2,23, di media, del collega ex Girona.

Se il classe 1995 sa fare da corista negli sviluppi offensivi, il quasi 28enne offre opportunità di sintesi come quella che gli regalerà la migliore occasione ad Empoli. Un rinvio lungo 50 metri da Svilar, il duello aereo vinto che svela il 2v2 da cui Baldanzi lo spedirà verso la profondità. Dovbyk, infatti, calcia meno ma con maggior precisione tanto da spedire in porta il 42,9% dei tiri mentre il tasso di Shomurodov è fermo al 35,1%. In più, se Shomurodov ha in dote quasi il doppio dei passaggi chiave (1,52 contro 0,86) per quell’abilità a mettersi in rima coi compagni e il triplo dei contrasti offensivi (0,33 a 0,11 sempre x90), la capacità di convertire tiri in gol di Dovbyk rimane superiore.

Resta, allora, solo da indovinare il tema della serata e scegliere il vestito più adatto.

Pre Match – A cena con l’eretico Valverde

LR24 (MIRKO BUSSI) – Quando Ernesto Valverde viene licenziato dal Barcellona si è preso una pausa di due anni e mezzo come non aveva mai fatto in carriera. Concedendosi all’altra sua grande passione, la fotografia, tanto da tenere una mostra all’Ernest Lluch Kulturetxea di San Sebastian nel giugno del 2021. Negli anni aveva impugnato la camera quando tutti gli occhi erano su di lui e sulla sua squadra. Un modo per estraniarsi, razionalizzare, quasi mantenere una distanza di sicurezza nel momento in cui tutti sono travolti dalle emozioni.

Mentre l’Olympiakos festeggia la vittoria del campionato insieme al presidente Marinakis, c’è Valverde che da un lato immortala il momento. Quando il pullman dell’Athletic Club viene abbracciato dalla felicità dei propri tifosi che hanno riassaporato il gusto di un trofeo dopo 31 anni, dall’interno Valverde ritrae la felicità che ha acceso in quelle anime. Al Barcellona, con tutti gli smartphone rivolti verso di lui e la sua squadra, l’allenatore di Viandar de la Vera, un paese dell’Estremadura da meno di 300 abitanti, mostra l’altro punto di vista: quella distesa di telefonini che tentano di catturare un momento.

Eppure dal Barcellona fu accompagnato all’uscita con accuse, sostanzialmente, di eresia. Oltre alle voci su un rapporto non proprio idilliaco con Messi, “alcune cose è bene che non si sappiano” dirà in un’intervista, Valverde veniva accusato di aver attentato alle radici del Barça. Quel pressing alto, per lui, non era più attuabile, ancor più se a forma di 4-3-3 come pretendeva la tradizione. A Roma, tappa determinante con la mitologica rimonta subìta nel 2018, tornerà col vestito preferito, che esalta le forme dell’Athletic dov’è tornato per la terza volta nell’estate del 2022.

Blocco medio in 4-4-2, con la squadra pronta a saltar fuori e alzare i voltaggi della pressione quando il pallone finisce sulle corsie più esterne. In questo, l’Athletic ha una precisione quasi meccanica, riuscendo spesso a mantenere distanze equilibrate, anche perché così si procaccia il cibo preferito: le transizioni. È una squadra estremamente reattiva, che si sente dalla parte giusta del tavolo quando il pallone lo mantengono prevalentemente gli avversari.

Riconquiste e riaggressioni, inevitabilmente, si incastrano favorevolmente contro squadre che hanno bisogno di ordine e razionalità in costruzione per avviare il proprio discorso. Come il Girona, torturato 3-0 al San Mamés proprio con continue riconquiste e transizioni. Avviare la riproduzione del momentaneo 2-0 di Sancet per delucidazioni: dopo aver riconquistato il pallone nella propria area, il Girona fornisce al possessore una serie di appoggi che possano facilitarne il riciclo del pallone. Ma l’assalto in riaggressione dell’Athletic è letale, il recupero avviene in zona ultra-offensiva e viene completato dal colpo di testa di Sancet all’interno dell’area pochi istanti dopo.

Tra le principali criticità, invece, c’è quella su cui ha tentato di battere, fino a colpire nell’1-0 decisivo, l’Atletico Madrid nell’ultima sfida di Liga. Per struttura, infatti, quel 4-4-2 che si preoccupa inizialmente di chiudere varchi centrali, soffre le ampiezze ad altezza intermedia, tra esterno alto e basso della catena, come quelle che naturalmente possono conferire dei quinti. Qui, infatti, il desiderio di aggressività che spinge i terzini ad uscire esternamente si scontra con la distanza dell’uscita che concede spesso un vantaggio temporale a chi riceve in quelle porzioni di campo. È da qui, infatti, che l’Atletico Madrid slaccia la squadra di Valverde svelando la superiorità numerica preparata contro i centrali baschi, esposti per di più ad una pericolosa profondità in cui verrà innescato Julian Alvarez. Inserimenti alle spalle dei terzini in uscita, golosi spazi tra le linee o l’attacco sul lato debole come fece proprio la Roma nella gara di settembre partendo da una situazione simile, possono manomettere il dispositivo difensivo dell’Athletic.

Il mantenimento dell’ordine e di una stabilità strutturale sono argomenti dominanti per dare coerenza alla ruvidità basca, così anche in costruzione la squadra difficilmente modifica i posizionamenti di base, sintetizzandosi spesso e volentieri in giocate dirette. Un lancio lungo che può scaturire un duello aereo e dunque una seconda palla gli permettono di autoprodursi delle riaggressioni in cui mirare rapidamente alla profondità.

La ricerca principale, altrimenti, è negli 1 contro 1 esterni, con la pendenza a sinistra dove si agita Nico Williams, 5° per dribbling in Liga. Isolato esternamente, l’esterno classe 2002 è la destinazione predefinita sul navigatore dei centrali a disposizione di Valverde. Gli sviluppi sono quasi nella totalità esterni, con la mobilità e l’abilità nell’inserimento di Sancet come unica forma di imprevedibilità centrale.

Le palle inattive rappresentano un altro tema di fronte all’Athletic, con la memoria che va facilmente al gol dell’1-1 subìto all’Olimpico nella fase iniziale di Europa League. E anche nell’ultima gara con l’Atletico Madrid soltanto i pali hanno salvato l’imbattibilità di Simeone. Nonostante un’altezza media non così preoccupante, con i 185 centimetri di Aitor Paredes a rappresentare la vetta massima della linea difensiva, la violenza con cui attaccano il pallone e la forza nello stacco gli garantiscono vantaggi nei duelli aerei. Le maggiori strutture, infatti, si trovano davanti tra Sancet e Guruzeta (entrambi alti 1,88) e Inaki Williams (1,86). 10 i gol segnati di testa finora in campionato: il dato più alto di tutta la Liga.

Post Match – “Il calcio è tempo, spazio e inganno”

LR24 (MIRKO BUSSI) – “Il calcio è un gioco basato sull’inganno”, ha detto uno di quelli che ne aveva ricevuto in dote i segreti, come Diego Maradona. Chi ci ha passato le notti sopra a decifrarlo, come Cèsar Luis Menotti, aveva reso il tutto un po’ più algebrico: “Il calcio è tre cose: tempo, spazio e inganno”.

La Roma l’ha visto lunedì sera, quando l’arte più nobile del calcio, quella ingannatrice per natura, l’uno contro uno, gli ha spianato la strada davanti al Monza.

Perché l’uno contro uno non ha solo l’effetto di una superiorità numerica ma ribalta i piani, cambia le dimensioni, altera le percezioni. Insomma, inganna. E non solo il diretto avversario, vittima dell’uno contro uno.

Al 5′, per esempio, Soulé s’incurva come fa quando entra nel suo mondo, quello tappezzato di uno contro uno. Lo fa da sinistra, dal lato che gli si addice meno, almeno in teoria, ma più che puntare Lekovic per dribblarlo, lo fissa, attirando su di sé le attenzioni del blocco difensivo del Monza che così perde reattività nell’assorbire l’inserimento di Pisilli. Soltanto quando Soulé svelerà il pallone, facendolo passare tra le gambe dell’avversario, l’inganno sarà svelato: il centrocampista è ormai alle soglie dell’area piccola a raccogliere il regalo, poi scartato in malo modo. Perché l’uno contro uno, in particolare quando avviene lateralmente, porta con sé effetti collaterali: chi difende in area faticherà a tenere sotto controllo due punti cardinali della marcatura, il pallone, da una parte, e l’avversario di riferimento, se fuori dalla visuale.

Poco dopo, a fare da illusionista sarà Saelemaekers. Dal vertice opposto dell’area di rigore, s’approfitta della distanza permissiva che gli ha accordato il suo avversario che pare quasi scommettere sul cross, la soluzione più ipotizzabile per un piede destro, da destra. È quello su cui gioca il belga, fintando il servizio in area di rigore e apparecchiandosi il tiro girevole sul sinistro, con quello che si definisce uno “scarto” più che un dribbling autentico.

Nel 2-0, invece, Soulé è tornato nella sua cameretta, quella vicina al corridoio laterale destro. La conduzione dell’argentina è ricca di tocchi: servono a tenere il pallone sotto stretto controllo e ridurre, di conseguenza, le possibilità di intervento dell’avversario, che finisce per indietreggiare fino all’ingresso dell’area di rigore. Qui, mentre incede, c’è tutto il resto della truppa difensiva del Monza che, col fiato sospeso, viene catturato dall’uno contro uno in scena perdendo efficacia nei propri compiti. Shomurodov ha il merito di assecondare fino all’ultimo le intenzioni del compagno restando in una posizione ibrida che gli permetta di scegliere la porzione d’area da attaccare. Prima, però, Soulé completerà il proprio affresco fintando il cross quando ormai la disponibilità di spazio sembrava esaurita, al punto da convincere il proprio avversario a lanciarsi per ostacolarlo. Schienato il contendente, l’argentino termina l’opera col cross, stavolta sì, di destro, su misura per la testa di Shomurodov, sul quale chi avrebbe potuto far di più in marcatura è il secondo centrale, che invece rimane ipnotizzato all’altezza del secondo palo.

E prima di uscire, anche Baldanzi sfodera il proprio arsenale sul tavolo dell’Olimpico. La zona in cui riceve, però, è più centrale e con una densità avversaria maggiore si espone rapidamente al raddoppio. La forte inferiorità numerica che contraddistingue lo sviluppo romanista viene però annullata dalla superiorità qualitativa: Baldanzi infatti decide di minacciare lo stesso la linea e con un dribbling, questo sì estremamente autentico, passa attraverso i due sfidanti, aprendosi di colpo tempo e spazio per il tiro. Tutto grazie ad un magnifico inganno.

Post Match – La fobia degli angoli

LR24 (MIRKO BUSSI) – La gonofobia è la paura degli angoli dei palazzi, che arriva a comprendere, come si legge in un autentico dizionario delle ansie stilato sul sito Tiscali, la paura di scontrarsi con persone che sbucano dagli angoli. Un trauma che la Roma ha vissuto nell’andata col Porto quando da un calcio d’angolo a favore si è ritrovata improvvisamente sbattuta 60 metri indietro a rincorrere una pericolosa ripartenza finita poi nell’1-1.

E gli effetti si sono visti a Parma dove, con 10 angoli a disposizione, la squadra di Ranieri è sembrata più preoccupata dalle controindicazioni che intrigata dalla possibilità di far male all’avversario. Cambiano le stagioni, con loro le persone e dunque il modo di guardare la realtà: poco più di un anno fa ogni tiro dalla bandierina era vissuto con l’acquolina alla bocca dalla Roma, oggi, invece, pare provocare principalmente aumenti della sudorazione.

Il conteggio degli angoli viene inaugurato al 15′ del primo tempo: la Roma porta 5 giocatori ad attaccare l’area di rigore e sfidare il castello difensivo a zona del Parma composto da 8 elementi. L’ottavo, al limite dell’area, è contrapposto a Soulé disposto centralmente proprio in funzione preventiva. Pecchia infatti sceglie di lasciare due vertici fuori dai 16 metri per accendere il gas in possibili ripartenze. Sulla respinta difensiva, la Roma si trova a quel punto con Soulé a gestire un pericoloso duello al limite dell’area contro il più manesco Keita. L’argentino se la caverà rimediando un fallo che spegne la possibile transizione.

Al secondo angolo, però, il timore di ripartenze prende definitivamente forma: battuta dall’angolo opposto, la struttura difensiva del Parma cambia per via di una traiettoria che sarà ad uscire stavolta e sulla respinta al limite dell’area c’è Celik in marcatura preventiva. Ma la seconda palla che ne scaturisce finisce per far sfogare il Parma in transizione: la Roma non riesce a riaggredire e 40 metri più in là, ormai nella metà campo romanista, c’è ancora Soulé coinvolto in un 1 contro 1 difensivo in cui rischia di far pagare l’inferiorità qualitativa di un esterno offensivo seduto dalla parte sbagliata del tavolo.

 

Se sul terzo angolo la Roma pare quasi rinunciare alla battuta, portando appena 2 giocatori in area contro i 7 del Parma, sul quarto tentativo dalla bandierina, ancora sullo 0-0 e dunque in parità numerica, i fantasmi escono nuovamente dall’armadio romanista. La parabola di Paredes viene infatti inghiottita in presa alta da Suzuki che immediatamente fa ripartire l’azione obbligando la Roma a precipitarsi all’indietro in una pericolosa parità numerica. Sarà Salah-Eddine a spegnere l’incendio ormai al limite dell’area romanista.

Nel secondo tempo, l’angolofobia romanista è ormai manifesta: nel primo calcio d’angolo della ripresa, il quinto complessivo, il Parma utilizza tutti i propri effettivi rimasti (10) a proteggere l’area di rigore. Ma la Roma ha la ferita ancora aperta al punto da lasciare comunque 3 giocatori in posizionamenti preventivi, con Gourna-Douath che ha rilevato i compiti difensivi di Koné sugli angoli a favore. La preoccupazione è rintracciabile anche nella scelta di Paredes che, invece di tentare la fortuna calciando in area, mette nel mirino Pellegrini sul versante opposto, fuori dalla mischia, con la Roma che finisce così per rilegare l’azione all’indietro. Sarà proprio sullo sviluppo che ne consegue, però, che produrrà l’occasione più gustosa, con il tiro di Soulé e la timida ribattuta di Salah-Eddine strozzata da Suzuki sulla linea.

Sesto e settimo tentativo dalla bandierina confermano la scelta conservativa della Roma: i 9 giocatori di movimento rimasti a disposizione del Parma ripiegano tutti in area di rigore ma Ranieri non autorizza più di 4 giocatori a minacciarli, tenendone 3 al limite per agguantare possibili respinte difensive e Celik ancora più indietro come ultimo controllore.

Gli ultimi tre angoli arriveranno dal 75′ in poi e qui la Roma prende le maggiori precauzioni possibili, scegliendo di batterli tutti corti e riavvolgere l’azione all’indietro. Una scelta che riduce le possibilità di minaccia per l’area di rigore ma spegne anche i rischi di transizioni lunghe, consolidando il possesso e cambiare, di conseguenza, lo scenario. Perché non sai mai cosa può sbucare dietro l’angolo.

Post Match – Ménage à Douath

LR24 (MIRKO BUSSI) – Girando tra gli scaffali dell’ultimo giorno di mercato, la Roma ha trovato un’offerta imperdibile o quasi per Gourna Douath. Con 400mila euro, come svelato in mattinata da ‘Il Tempo’, l’equivalente della monetina da inserire nel carrello per le abitudini del calciomercato, è stato sbloccato il passaggio in prestito. Serviranno 20 milioni o giù di lì, a seconda del piazzamento finale e del minutaggio, per completare l’operazione e la cifra ne restituisce meglio il valore. Quello già espresso e ancor più quello potenziale, per cui fu pagato 13 milioni due anni e mezzo fa, l’assegno più alto mai staccato dal RB Salisburgo.

Gourna Douath ha fatto più spesso il centrocampista di presidio davanti alla difesa. In più interviste ha parlato di Vieira o Makélélé come giocatori di riferimento, non tanto per le caratteristiche tecniche, coi quali comunque condivide degli aspetti, ma per una questione di “affidabilità”. È un mediano di presidio più che una mezzala di impeto e assalti offensivi. Agisce prevalentemente davanti alla difesa, gli piace timbrare i palloni all’uscita dalla prima costruzione e nell’ultima versione del RB Salisburgo lo si poteva trovare spesso ad abbassarsi tra i due centrali.

Svolge il compito sfruttando una delle doti ormai imprescindibili per gli aspiranti al ruolo di ultima generazione: la resistenza alla pressione. Gourna Douath sa ricevere e gestire il pallone, scartarlo anche all’occorrenza, nonostante la prossimità di un avversario, un aspetto necessario per vivere da centrocampista nell’epoca dei sistemi di pressing con riferimenti sull’uomo sempre più marcati. È una delle prime cose svelate a Venezia: al 7′ riceve un pallone da Celik e con una finta di corpo cestina l’uscita in pressione di Nicolussi Caviglia. Un’applicazione che, tra i centrocampisti della Roma, si trova installata con alti livelli di efficacia soltanto nel software di Paredes. La presenza del francese, magari, potrà ridurre le costruzioni dirette della Roma, facilitando l’avanzamento del pallone in maniera più graduale e, soprattutto, “pulita”. Rispetto all’argentino è certamente più prosaico nella costruzione, senza quella luminosità nei passaggi, ma gestisce comunque, con elevatissime percentuali di riuscita, un alto numero di palloni.

Il corso di studi ad una delle università Red Bull ne ha stimolato ulteriormente la reattività nei momenti di transizione, uno degli aspetti più dolorosi nell’impianto romanista fin qui. Sui palloni persi, infatti, Gourna Douath rimbalza rapidamente che sia in riaggressione, la preferita nei canoni da cui proviene, o come recupero del posizionamento difensivo. Qui sfrutta a pieno la sua cilindrata fisica con accelerazioni che in Serie A appaiono ancora fuori scala rispetto alle abitudini altrui. Lo si è visto anche nell’episodio dell’ammonizione, quando al pallone perso dalla Roma nell’ultimo terzo di campo, con 6 giocatori in zone offensive, la vigorosa reazione di Gourna Douath lo ha fatto lanciare in un contrasto azzardato che ha bloccato la possibile ripartenza ma gli è servito per imparare i canoni del nuovo campionato. Il tasso di falli e di ammonizioni ricevute, una ogni 3 partite e mezzo in carriera, rappresentano una delle sue principali area di miglioramento.

 

La compresenza di Cristante, tra i centrocampisti più posizionali a disposizione, può ingannare sulle abitudini del francese che più di una volta è stato visto muoversi in verticale. Ma era più un adattamento per le caratteristiche del compagno di reparto che una tendenza innata di Gourna Douath che, oltre a un set atletico ultra-accessoriato, non ha strumenti particolarmente interessanti per proiettarsi negli ultimi metri di campo. La sua presenza stabile e la capacità di presidiare potranno invece liberare Manu Koné da richieste difensive più stringenti e sguinzagliarlo senza troppe preoccupazioni nella metà campo avversaria, dove ha dimostrato di poter avere argomenti validi. La loro presenza contemporanea, in più, sposterà la lancetta dell’aggressività su tacche rivoluzionarie per le recenti abitudini della Roma, permettendole di immaginare riconquiste più alte in campo, un altro modo di pararsi da quelle dolorose transizioni difensive. È proprio la fantasia sulle potenzialità della coppia francese ad aver ispirato il titolo lussurioso.

Gourna Douath arriva da giovane, compirà 22 anni il prossimo 5 agosto, ma già ampiamente testato su strada locali ed autostrade internazionali. Per dare un’idea, del suo percorso e della differenza culturale che ancora attanaglia l’Italia, quando Pisilli (classe 2004) ha giocato la sua prima partita da titolare con la Roma, contro la Juventus lo scorso 1 settembre, Gourna Douath aveva da poco raccolto la sua 148ª presenza tra i professionisti.

Post Match – La solitudine del numero 11

LR24 (MIRKO BUSSI) – Artem Dovbyk domenica ha fatto uno con uno. Un gol su rigore e un tiro a disposizione, quello sfiatato nel secondo tempo, non rientrando il colpo dal dischetto nella statistica. Ci sta facendo l’abitudine l’attaccante arrivato in estate con la corona di Pichichi della Liga: in metà delle partite giocate alla Roma, 14 su 28, ha infatti avuto a disposizione al massimo un tiro. Soltanto due attaccanti di riferimento della Serie A possono lamentarsi maggiormente sulle scorte a disposizione: Lukaku e Pohjanpalo.

20 attaccanti centrali, uno per ogni squadra di Serie A, scegliendoli in base a minutaggio e utilizzo in campo: dal capocannoniere Retegui a Djuric, passato ora al Parma ma principale riferimento del Monza nella prima parte di stagione, solo il Napoli con Lukaku e il Venezia con Pohjanpalo offrono meno rifornimenti rispetto a quanto la Roma fa con Dovbyk.

2,02 a partita i tiri a disposizione di Dovbyk finora, che tradotti fanno un gol ogni 0,16 conclusioni, ad una distanza media di 13,3 metri dalla porta: questo il quadro clinico delle finalizzazioni del numero 11 romanista. Chi si riempie la pancia di tiri, in Serie A, è Krstovic che calcia in media 4,33 volte ogni 90 minuti. Subito dietro di lui c’è il terminale dell’Atalanta, Retegui, che ha raccolto i suoi 16 gol finora grazie a 4,18 tentativi a partita. Poi Castellanos, con 4,09, Vlahovic a 3,50, i 3,46 di Kean e i 3,40 di Lautaro. L’unico, tra le grandi, vicino ai numeri di Dovbyk è Alvaro Morata, fermo a 2,21 tiri a partita.

La motivazione è facilmente riconducibile nell’utilizzo che fa la Roma di Dovbyk, bersagliato da frequenti giocate lunghe in cui deve fare da ponte per accedere all’area di rigore o, quantomeno, nei pressi. Un esempio arriva anche da domenica, quando il tiro di Rensch, tra le principali occasioni del primo tempo, preparato proprio grazie al lavoro da vertice di Dovbyk, raggiunto dal passaggio lungo di Angelino.

L’unico tiro avuto a disposizione da Dovbyk domenica pomeriggio è arrivato con l’ingresso di Shomurodov. E non appare casuale: sulla giocata lunga di Pellegrini, stavolta, era l’uzbeko a contendersi il duello aereo con l’ucraino pronto a raccogliere la seconda palla, poi annacquata da una macchinosa preparazione al tiro. Senza modificare profondamente la natura della squadra, che fatica a raggiungere con continuità zone di rifinitura tramite costruzioni più articolate e lasciando Dovbyk sul davanzale della profondità, la possibilità di dividersi il lavoro di recluta di duelli aerei con un collega pare migliorare le condizioni di vita dell’attaccante della Roma.

Il confronto col Girona aiuta a contornare ancora le differenze: se Dovbyk poteva fare principalmente il finalizzatore d’area, col 30,6% dei tocchi registrati nelle aree avversarie della Liga, alla Roma è ultrastimolato fuori dai sedici metri, con il dato che scende appena al 22,6%. L’alternativa, allora, arriva nuovamente dal registro di Udine: senza voler raggiungere le più complesse zone di rifinitura centrali dove poterlo azionare in profondità, una serie di rifornimenti esterni tra cross o traversoni, come quello di Pisilli che gli varrà un gol poi annullato, potrebbero almeno saziarne la fame d’area di rigore.

Post Match – Quanto sposta Saelemaekers

LR24 (MIRKO BUSSI) – La chiave che ha aperto Roma-Genoa è stata girata da destra, lo stesso lato da cui era stato dipanato il Bologna per il momentaneo 0-1 e, sempre da lì, erano arrivate le fortune nel 2-0 del derby. Lì dove ha traslocato Saelemaekers, che al rientro dopo l’infortunio ha inizialmente occupato zone più offensive, comunque sempre partendo da destra, per poi scivolare più indietro, fino a toccare i fili elettrici di un ruolo che negli anni ha polverizzato la credibilità popolare di diversi avventori succedutisi.

Saelemaekers, invece, in una manciata di partite ha riempito i vuoti, con 3 gol e 2 assist partendo da lì, escludendo quello col Lecce dunque, e, in questo modo, ha spiegato anche perché i vari terzini riciclati nel ruolo erano finiti in cortocircuito.

L’elettricità e la varietà di soluzioni che inevitabilmente ha un giocatore dal dna offensivo come il belga rispetto a un canonico terzino, ha permesso alla Roma di trovare slancio in un settore che viene facilmente illuminato anche dalla prossimità di Dybala, sempre più libero nelle sue scelte di posizionamenti ma comunque mantenendo la preferenza di quegli spiazzali sul centro-destra. L’abilità in uno contro uno di Saelemaekers, la sua rapidità nel breve oltre alla capacità di relazionarsi ai compagni offensivi hanno allargato e, anzi, quasi spostato la Roma sul lato destro.

Come succede venerdì, quando il possesso romanista finiva per accumulare 8 giocatori nella metà più a sinistra del campo: da qui, il rapido innesco partito da Dybala e assecondato poi da Mancini, che in più si sovrappone, ha permesso a Saelemaekers di preparare nel migliore dei modi il cross destinato a Pellegrini e poi corretto definitivamente in rete da Dovbyk.

Un cambio di abitudini, per la Roma, che esce nitidamente anche dalla mappa dei tocchi dei giallorossi nelle ultime partite. Contro il Genoa, venerdì sera, il maggior numero di tocchi negli ultimi metri avversari è arrivato proprio dalla corsia destra. Lo stesso si vede anche dalla mappa dei tocchi registrata a Bologna dove saranno addirittura 86 i palloni gestiti nella parte più offensiva della corsia destra rispetto ai 50 manovrati sul lato opposto. Il dato trova coerenza in tutte le ultime 8 partite di campionato della Roma, con l’unica eccezione del derby, a partire dalla gara con l’Atalanta che ha visto il ritorno in campo dell’esterno di proprietà del Milan.

Prima che tornasse Saelemaekers, invece, la Roma pendeva a sinistra, con le ultime 2 partite di Juric oltre al debutto di Ranieri a Napoli, che vedono la corsia mancina come quella dove i giallorossi gestivano il maggior numero di palloni negli ultimi metri avversari.

L’annosa ricerca di un esterno destro dovrebbe vedere un nuovo capitolo a breve con Devyne Rensch, almeno a dar retta alle indiscrezioni più recenti. Un profilo che, se forzato da quinto, potrebbe presentare le controindicazioni già viste in passato: il classe 2003 olandese, infatti, ha la linearità calcistica tipica dei terzini, seppur di scuola offensiva, senza quelle effervescenze in uno contro uno, quelle taglienti tendenze alla profondità o in generale di incisività negli ultimi metri con cui Saelemaekers, ormai, ha spostato la Roma dal suo lato.

Post Match – I 7 vizi capitali

LR24 (MIRKO BUSSI) – Quando Bologna e Roma imboccano gli spogliatoi hanno appena lasciato sul campo più di 116 chilometri a testa, oltre a rimorsi di vario genere. Un dato decisamente sopra la media, almeno per la Roma, che per dire contro Lazio e Milan aveva corso 112 e 109 chilometri complessivi. Per spiegarlo, basta rivedere le ondate continue che sbattevano le squadre da un’area all’altra sempre di più col passare del tempo.

Come succede nell’1-1 del Bologna che allunga la striscia negativa di gol subiti in ripartenza dalla Roma: 7 come nessun altro in Serie A, 7 come solo il Montpellier tra i 5 principali campionati europei. Il conto è stato pagato principalmente nell’interregno di Juric: tra i due subiti col Verona, primo e terzo, quello con l’Inter sul pallone perso da Zalewski e un altro paio con la Fiorentina. La lista arriva a 7 per mano di Gabrielloni e, infine, Dallinga domenica. Ma situazioni simili hanno portato anche al gol di Reijnders col Milan o al rigore guadagnato dall’Empoli all’Olimpico a inizio campionato.

“Tutte le squadre prendono transizioni”, ha detto Mancini nel post partita come premessa alla risposta, inevitabile, che a Trigoria si dedichi del lavoro alla risoluzione del caso che perseguita la Roma più di ogni altra squadra. Infatti, anche per i “tiri veloci” subiti, quelli in seguito a una riconquista avversaria, i 25 tentativi incassati dalla Roma sono il dato peggiore della Serie A. Se con De Rossi o Juric, per motivi diversi, i giallorossi tendevano a lasciarsi parecchio campo alle spalle degli ultimi difendenti, con Ranieri il problema sembra riproporsi sotto forme diverse. E si è visto in particolare a Bologna, quando il dato dei passaggi riusciti è coinciso con la peggiore percentuale della stagione: 76,3%. Accentuando, di conseguenza, gli inneschi in transizione.

Questo dato, oltre che per il volume di pressing che sa generare la squadra di Italiano è dovuto anche alla lunghezza media dei passaggi che con l’arrivo di Ranieri si è particolarmente allungata. Gli esempi mostrati sotto, dal cambio di campo di Paredes intercettato al rinvio lungo di Svilar ad inizio partita, aiutano a passare dalla statistica alla pratica: in entrambi i casi la Roma è inevitabilmente lunga e aperta per favorire lo sviluppo e la costruzione, questo non gli consente di poter accorciare e riaggredire, uno dei modi per evitare ripartenze, o quantomeno contendere a dovere la seconda palla ma è costretta a scappare all’indietro esponendosi a pericolosi attacchi avversari in parità numerica.

Spie rosse che si erano accese più volte fino alla rottura dell’1-1: il tiro di Dovbyk dal limite dell’area viene ribattuto e Dominguez fa saltare il blocco di Saelemaekers e Paredes rovesciando immediatamente il senso dell’azione. In una gara di frequenti ribaltamenti, il Bologna ha commesso quasi il doppio dei falli della Roma (18-10 il conteggio finale), ultimo appiglio per bloccare eventuali ripartenze. Che, appunto, non si possono evitare ma le squadre più efficaci sono quelle in grado di ridurle al minimo o gestirle economicamente.

Senza una forte spinta alla riaggressione, anche perché lo stile di attacco particolarmente diretto difficilmente lo renderebbe possibile, la Roma più volte si ritrova a scappare a protezione dell’area, una scelta che incide poi sul chilometraggio complessivo. Succede anche sull’1-1 ma qui le scelte difensive a ridosso dell’area mostrano bassa sincronia: Hummels, infatti, decide di riparare al possibile 2 contro 1 su Ndicka ma in questo modo svuota il centro e soprattutto non è riconosciuta tempestivamente dal collega ivoriano che resta vicino al portatore e non ha modo di chiudere il passaggio. Che raggiungerà Dallinga ormai liberato da Mancini, costretto a stringere per assecondare la scelta difensiva iniziale di Hummels.

 

Tra i principali sistemi di protezione contro ripartenze c’è quello delle marcature preventive, sempre più spesso chiamate in causa anche se, nel caso della Roma, non sembrano essere la causa principale delle indigestioni in transizione. Raramente, infatti, la squadra di Ranieri attacca come nella sequenza raccolta sotto, al 51′, quando porta 9 giocatori negli ultimi 30 metri avversari. Qui si nota come il principale vertice avversario, giocatore posizionato in avanti e particolarmente importante per eventuali ripartenze, sia libero da presidi, con Mancini impegnato al cross pochi secondi prima e Saelemaekers distratto dallo sviluppo dell’azione. Una libertà che consente a Dominguez di azionare nuovamente la sua conduzione frenetica che in poco tempo sposterà il problema nella metà campo romanista in un 2 contro 2 ad alto rischio, poi sventato dal recupero di Paredes.

 

Post Match – Manuale d’amore

LR24 (MIRKO BUSSI) – Quando il derby finisce, tra le schiume dei festeggiamenti romanisti, le statistiche finali nascondono la partita che la Roma ha preparato e vinto nel tempo di 18 minuti. Perché la Roma ha giocato, e vinto, su due piani differenti. Il primo, il volume 1 di quel manuale d’amore, corrisponde alla parte iniziale in cui la squadra di Ranieri era tutt’altro che disposta a lasciare l’iniziativa all’avversario.

Nel primo quarto d’ora, infatti, il dato sul possesso è a favore della Roma: 57% contro 43%, rimarrà l’unico tratto favorevole ai giallorossi che dal 2-0 in poi non avranno più interesse nel percorrere il derby col pallone tra i piedi. È il 9° minuto quando la Lazio sta per effettuare una rimessa in gioco da Provedel e l’immagine (nel post sotto) spiega a sufficienza le intenzioni della Roma: sono predisposti duelli uomo su uomo, con i quinti pronti a saltare sui terzini avversari accettando, di conseguenza, la parità numerica nel settore difensivo più profondo. Si vedono, infatti, i tre centrali più Koné accoppiati ai quattro giocatori offensivi di Baroni. Un’aggressività che porterà la Lazio a cercare direttamente i propri vertici offensivi, idea stracciata però dal duello aereo vinto da Koné. E possesso riconvertito in favore della Roma.

 

Qui, la Roma ribalta la situazione, consolidando il possesso in una serie di passaggi che la riportano da Svilar con l’effetto di alzare stavolta le pedine avversarie in pressione. La struttura di costruzione giallorossa, 4+2 con Mancini che si apre a destra, Hummels e Ndicka ai lati di Svilar e Angelino nella prima ampiezza a sinistra, ha un chiaro obiettivo: sfruttare la differenza di peso e centimetri tra Dovbyk e la coppia Gila-Romagnoli. Sotto l’albero dell’ucraino, a raccoglierne i frutti, si precipiteranno Pellegrini e Dybala, con Saelemaekers come freccia per la profondità a destra.

È il canovaccio dell’1-0, dal lancio di Ndicka sul petto di Dovbyk che apparecchia la tavola per Dybala e Pellegrini prima di svilupparsi a destra da Saelemaekers e tornare definitivamente tra i piedi del numero 7. Verrà ripetuta pochi minuti dopo per il 2-0: ancora un duello difensivo su Dovbyk lasciato irrisolto da uno dei centrali della Lazio, conduzione vertiginosa di Dybala che fissa centralmente Tavares e lo obbliga a liberare il corridoio verso il raddoppio per Saelemaekers.

 

A quel punto sì, la Roma si cambierà d’abito e giocherà il volume 2 della partita sedendosi in un blocco basso sintetizzabile in un 5-3-2. La difficoltà a risalire il campo con giocate dirette su Dovbyk la terrà più spesso a ridosso della propria area ma riuscendo a controllare con efficacia il centro. Così la Lazio accumulerà sempre più possesso ma convertendolo principalmente in cross (38 quelli totalizzati a fine gara), una situazione che incontrava i gusti difensivi preferiti da Mancini, Hummels e Ndicka.

Tant’è che se la Lazio finirà con più tiri, 17 in totale contro i 7 della Roma, anche nella ripresa l’occasione più redditizia secondo le metriche di xG sarà colorata di giallorosso. Al 57′, infatti, un rinvio di Svilar mostra nuovamente Gila legato a Dovbyk. Il risultato sarà lo stesso già riscosso nel primo tempo: pallone ripulito in zone di rifinitura per Angelino che lo spedirà rapidamente nella profondità tracciata da Pellegrini. Il tiro di sinistro del centrocampista a una manciata di metri dalla porta varrà 0,17 xG: il più alto registrato in partita dopo quello valso il 2-0 di Saelemaekers. Il resto, poi, saranno salse e condimenti sparsi sull’ormai denudata sensibilità avversaria che daranno maggior sapore alla portata principale. Pronta già dopo 18 minuti.