Post Match – Zero calciare

LR24.IT (MIRKO BUSSI) – Cinque delle sei sconfitte stagionali della Roma portano la stessa etichetta: 0-1. Se quella col Napoli, per pericolosità offensiva, era stata la peggior partita prendendo come parametri il dato di xG, i tiri effettuati e i tocchi nell’area avversaria, il record è stato aggiornato, in negativo, domenica scorsa. Nonostante i 24 tocchi nell’area altrui, il doppio rispetto a quanto registrato contro il Napoli, possano ingannare per via di una maggior disponibilità di palle inattive, i 94 palloni gestiti nel terzo offensivo rappresentano il punto più basso della stagione, testimoniando a sufficienza le difficoltà che ha avuto la Roma a portare il pallone in avanti. Mai, finora, la Roma era scesa sotto le tre cifre per palloni portati nell’ultimo terzo di campo.

Numeri che poi, a catena, producono gli altri: 0,3 xG, 6 tiri complessivi, appena 2 nello specchio, i peggiori dei primi 100 giorni di stagione romanista. A Baldanzi e Ferguson, che si sono praticamente spartiti il ruolo più ingrato della giornata sono spettati appena 13 tocchi a testa. Per dare un’idea, Esposito e Borrelli ne hanno avuti 62 e 22 rispettivamente.

Spesso l’innocuità offensiva della Roma è stata ridotta al dibattito sull’utilizzo di un centravanti più canonico, come Ferguson o Dovbyk, o a quelli più atipici, come Baldanzi domenica e Dybala in altre occasioni. Oltre ai motivi di condizione, a cui fa riferimento anche Gasperini nelle interviste post partita, la ricerca di maggiori associazioni offensive, che Baldanzi o Dybala potrebbero offrire più facilmente, appare la risposta all’assenza di calciatori offensivi capaci di accendere pericoli autonomamente. Sintetizzando, di dribblare. E se non puoi dribblare, allora triangola, riporta uno degli adagi calcistici.

Ma quei triangoli, quelle combinazioni offensive, la Roma ha faticato a montarle. Per via di alcuni principi di costruzione che paiono far scontrare Gasperini con le sue stesse fortune. La diffusione di pressioni in parità numerica, con riferimenti sull’uomo che hanno eletto l’allenatore della Roma a trend europeo, rendono oggi molto più complesso progredire sulle catene laterali come amano fare le sue squadre.

Il 5-3-2 del Cagliari, infatti, aveva un segnale in codice per trasformare le proprie pressioni di attesa iniziale in pressing aggressivo per riconquistare il pallone. Quando i terzi di difesa, Mancini da un lato ed Hermoso dall’altro, ricevevano il pallone scattava l’uscita violenta della mezzala, Folorunsho o Adopo, con il quinto che stringeva forte sul proprio corrispettivo romanista e i terzi della difesa di Pisacane che pedinavano i trequarti romanisti, soffocando dunque le possibili combinazioni in catena. La ripetitività delle disposizioni della Roma in costruzione, col mediano di parte che spesso si abbassa o si apre nella prima uscita del pallone, facilitava il Cagliari nel prendere i riferimenti. Così come la netta preferenza per le progressioni laterali, consentiva alla squadra di Pisacane di sovraccaricare il lato forte per avere maggiori possibilità di riconquista.

Senza immaginare modifiche nei principi di costruzione consolidati da Gasperini, che dunque continuerà ad abbassare spesso i propri mediani e svuotare il centro per progredire lateralmente, anche la partita di domenica ha sottolineato come la ricerca del lato debole possa essere una soluzione sempre più necessaria per gli sviluppi romanisti. Così, infatti, viene messa in scena la migliore, potenzialmente, situazione offensiva della Roma.

Poco prima della mezz’ora, come si vede sopra, Koné si apre nel consueto movimento in ampiezza richiesto al mediano di parte. Stavolta la verticalizzazione su Pellegrini incontra i tempi di smarcamento di Pellegrini e Baldanzi che nella combinazione riescono ad apparecchiare centralmente il pallone per Koné per far distendere lo sviluppo sul lato opposto. Qui, nonostante le scalate reattive del Cagliari, il 3 contro 3 con Mancini, Celik e Soulé garantisce alla Roma una superiorità dinamica, data dal veloce cambio di scenario, che permette all’attaccante argentino di arrivare in una delle zone di rifinitura più pregiate “statisticamente”, quella identificabile tra il lato esterno dell’area di rigore con il perimetro laterale dell’area di rigore. La postura del quinto di sinistra del Cagliari, Obert, e la distanza nella marcatura di Rodriguez su Soulé, offrono alla Roma quel vantaggio dinamico che permette all’azione di progredire negli ultimi metri.

La giocata finale dell’argentino sarà poi chiusa in angolo dalla difesa del Cagliari. Ma emerge il messaggio generale: con gli avversari che pareggiano sempre più spesso le disposizioni che la Roma prepara sulle ampiezze, sapersi trasferire sempre più velocemente da una corsia all’altra può tornare a garantire tempi, spazi e opportunità per progredire. E aiutare a vivere meglio gli attaccanti a disposizione, finché non ne arriveranno di più autonomi.

Post Match – I rischi del mestiere

LR24.IT (MIRKO BUSSI) – Quelle vertigini difensive, a seguire il messaggio della Sud di domenica sera, testimoniano la voglia di volare. Il desiderio infuso da Gasperini all’interno della Roma è quello di spingersi in alto, calcisticamente ancor prima che metaforicamente. Questo, come ogni scelta tattica, ha delle controindicazioni. Che domenica si sono materializzate nella ripartenza con cui il Napoli ha guadagnato il vantaggio poi decisivo nel punteggio finale. L’efficacia difensiva della Roma è incisa nei numeri che la eleggono, dopo oltre un terzo di campionato, come la miglior difesa, eguagliata nell’ultimo turno dal Como, e come la seconda squadra in Italia, dopo l’Inter, a concedere meno tocchi all’avversario all’interno della propria area di rigore.

Il grosso del materiale avversario, in sostanza, la Roma riesce a smaltirlo grazie al proprio atteggiamento difensivo. Quel che travasa, però, va maneggiato con cura vista la potenziale tossicità. Dopo 13 giornate, infatti, sono 17 le ripartenze veloci (dato Opta) subìte dalla Roma: il dato più alto del campionato, al pari dell’Inter. 4 di queste hanno portato a gol avversari, anche qui il numero più alto della Serie A. Il conto viene facile: su 7 reti complessive subìte, più della metà nascono dalla stessa matrice. Un pallone perso nel terzo di campo più offensivo, una riaggressione saltata, il campo che si spalanca per l’avversario.

È quello che succede domenica sera. La Roma accerchia il Napoli portandolo a schiacciare 9 uomini all’interno o nei pressi immediati della propria area. Come spesso accade, il coinvolgimento dei terzi di difesa in questo tipo di sviluppi è evidente: Hermoso è in possesso del pallone a circa 22 metri dalla porta avversaria, Mancini ha trascinato con sé Lang per invadere l’area di rigore. Sono 8 i giocatori della Roma oltre la linea del pallone, i compiti preventivi vengono assegnati a Cristante, in prima battuta, con Ndicka come ultima sentinella difensiva. Paradossalmente, conoscendo l’abilità del Napoli nel rovesciare il campo, i controlli preventivi della Roma erano anche superiori alle abitudini, evitando situazioni di parità numerica.

Quando il pallone sguscia via in maniera dubbia dal controllo di Koné, però, il primo sistema di protezione, la riaggressione immediata, non scatta in maniera adeguata. Un po’ per la reazione tardiva di chi si trova nei pressi, un po’ perché, intorno, erano più i giocatori del Napoli che della Roma. Ne esce fuori Neres con una conduzione insistente che fa emergere un 2 contro 2 con Hojlund come vertice offensivo e Cristante e Ndicka come oppositori. Situazioni ad alto rischio che la Roma sta imparando a maneggiare quotidianamente perché effetti, naturali, di quell’atteggiamento aggressivo con cui è stata concepita. A rendere incendio la miccia iniziale sono poi i comportamenti adottati da Cristante e Ndicka che non riescono a ritardare lo sviluppo avversario, permettendo magari il rientro al galoppo del resto della truppa. Cristante, infatti, viene prima fatto fuori dal passaggio e poi superato agilmente dal divario di rapidità e velocità che favoriva Neres. A quel punto, nel 2v1 che ne consegue, la teoria generale vorrebbe che Ndicka, l’ultimo difendente, eviti una collaborazione tra i due giocatori, mantenendo una posizione più centrale escludendo o almeno complicando la linea di passaggio. Ma quando il difensore ivoriano accorcia su Hojlund, il varco centrale in cui sottolineare la progressione di Neres diventa troppo ghiotto per il Napoli e a quel punto irrecuperabile per la Roma. La complessità della situazione non può essere risolta addossando le colpe ad un unico comportamento ma nella gestione dell’imprevisto, con cui la Roma dovrà sempre più imparare a convivere, guadagnare del tempo sarebbe stato vitale.

Pochi minuti dopo una situazione simile, anche se di grado inferiore per pericolosità, viene gestita in maniera più efficace. Lì un’altra conduzione frenetica di Neres, nata nuovamente a seguito di un recupero del Napoli all’interno della propria area di rigore, viene fatta spegnere dal comportamento di Ndicka che, ritardandone lo sviluppo, consente, al momento del traversone tentato da Hojlund, di aver riportato 4 elementi in più (Hermoso, Koné, Cristante e Celik) già nei pressi o all’interno dell’area romanista.

Situazioni ad alto rischio come quella di domenica si sono già manifestate nel primo terzo di campionato. Basti pensare al gol decisivo del Torino all’Olimpico o a quello del Milan a San Siro. La Roma potrà ridurle, aumentando magari la propria incisività offensiva che permetterà di concludere più volte verso la porta e annullare dal principio possibilità di transizioni per l’avversario, ma dovrà comunque impararci a convivere in maniera sempre più sostenibile. Ad oggi, quella che è la miglior difesa del campionato, concede anche i tiri più pericolosi del campionato: 0,11 il dato di xG medio dei tiri verso Svilar, pari in Italia solo a Cagliari e Genoa. Sono vertigini, sintomo della voglia di volare.

Post Match – La svolta

LR24.IT (MIRKO BUSSI) – L’immagine che dà la copertina a Cremonese-Roma è in quell’esultanza anacronistica, quasi da filmografia anni ’80, di Gasperini costretto in tribuna per il finale della partita. Da lì ha goduto dello 0-3, prima del gol nel finale della Cremonese, una rete, quella di Wesley, che a fine partita gli farà dire: “Quando fai un gol come il terzo vuol dire che hai svoltato: ora abbiamo più sicurezza, fiducia e convinzione nel fare gol”.

Quel terzo gol della Roma è un concentrato di alcuni gusti tipici del calcio secondo Gasperini. Nasce da una seconda palla guadagnata su rinvio dal fondo giocato lungo da Svilar. Un tratto tipico: solo Verona e Parma (con l’Atalanta subito dietro la Roma…) calciano più rinvii lunghi rispetto ai giallorossi, che non amano stressare costruzioni dal basso, in particolare su rimessa dal fondo. Preferisce, invece, stabilizzare un possesso più alto magari dopo aver guadagnato e ripulito una seconda palla. Come avviene in questo caso. Con Koné che invita poi Celik, accompagnato da ampi cenni con le mani, a rimodulare lo sviluppo passando sul lato opposto. Per questo si riavvolge da Ndicka, arrivando poi a Mancini, spostato sul centro sinistra.

Qui emergono, nitidi, quei quadrilateri di progressione che solitamente Gasperini installa sulle proprie catene laterali. Ma ora hanno colori più vividi, grazie al tempo e alla ripetizione di alcune situazioni che permettono di animarle: Wesley, infatti, rimbalza in un contromovimento fuori-dentro che lo aiuta a scucire la pressione avversaria, El Shaarawy e Ferguson sono scaglionati tra loro, disposti cioè su altezze diverse, e possono più facilmente entrare in comunicazione. Movimenti preparatori che hanno un’alta incidenza sulle giocate successive. La sincronia con cui questi avvengono, ora, permette alla Roma di sgusciare velocemente fuori dalla pressione avversaria.

Rispetto a qualche giornata fa, ora, i giocatori sembrano maneggiare con più naturalezza queste forme create in campo, trovando collaborazioni più rapide ed efficaci. Ne è un esempio anche la triangolazione interna di Koné con Pellegrini nel primo gol, dejavu di quanto accaduto nel gol all’Udinese prima della sosta.

Quando la scelta accorcia i propri tempi d’elaborazione avvicinandosi all’istinto, allora lì la squadra si fa fluida nella propria espressione. Ecco perché quel senso di “svolta”, percepito e poi manifestato pubblicamente da Gasperini. Che del suo ce l’ha messo per facilitarlo, oltre che nel lavoro quotidiano anche nel bilanciare gli ingredienti. Wesley a sinistra, adesso, prende un senso più compiuto offrendogli quelle corse in profondità, quell’imprevedibilità che nessuno da quel lato, per caratteristiche, può offrirgli. Abbinato a Mancini, che negli ultimi tempi ha traslocato a destra, portando ulteriore scompiglio con i suoi inserimenti su un lato che rischiava di irrigidirsi per la presenza di un quinto con meno varietà di soluzioni tecniche come Celik. Perché quel rumore di svolta può valere molto di più di una classifica parziale di novembre.

Post Match – Gasperini al tempo della Roma

LR24.IT (MIRKO BUSSI) – Alcuni dei migliori cocktail hanno la dicitura “sbagliato” che non ne comprometterà comunque il successo. La ricetta resta basata sull’originale ma la mancanza o la sostituzione di un ingrediente ne offre una sfumatura differente. È circa quello che sta facendo Gasperini alla Roma. Senza avere sul balcone i gusti preferiti in materia offensiva, il gusto della sua squadra oggi risulta meno affilato, meno esplosivo rispetto a quello che veniva versato ormai in tutti i bar di Bergamo.

Ha bisogno, invece, di tempi più dilatati per far emergere il suo desiderio. Come succede nel gol del 2-0 di domenica contro l’Udinese, arrivato al culmine di 22 passaggi consecutivi, iniziati da Svilar nella propria area e conclusi da Celik in quella altrui. Dentro si riconosce, nitido, il tocco dell’allenatore, seppur sfumato con gli ingredienti ora a disposizione.

Al principio, si vede Svilar scattare al limite dell’area con il pallone in mano e l’intenzione di avviare una ripartenza. Ma ha più giocatori alle spalle che davanti e nessuno, tra Pellegrini, Soulé o Baldanzi, ha nel navigatore la direzione della porta come destinazione preferita, in particolare su distanze lunghe. Questione di ingredienti, appunto.

Nel miscelare l’azione, allora, ecco i tratti tipici delle preparazioni di Gasperini: a sinistra prima e a destra poi, si compongono quei quadrilateri di progressione che vedono coinvolti terzo di difesa, quinto laterale, mediano e trequarti di parte, pronti ad avanzare in catena. Quando Soulé pare accennare all’uno contro uno tenendo in mano la riga laterale come preferisce, nessun romanista ha l’istinto di attaccare l’area di rigore, totalmente presidiata da difensori dell’Udinese. Anzi, è Mancini, utilizzato ultimamente da terzo e non più da centrale proprio per questa tendenza, il più minaccioso come si vede sotto. È un ulteriore aspetto ritardante sullo sviluppo, che va a riannodarsi nuovamente spostandosi sul lato opposto.

Sul nuovo cambio di lato, tratto tipico delle fasi di possesso di Gasperini, spicca come all’interno del blocco difensivo dell’Udinese, ora ricomposta interamente nella propria metà campo, non vi sia posizionato alcun giocatore della Roma. Tutti sono disposti in ampiezza o quasi, proprio a sottolineare le strutture che le squadre di Gasperini ricercano per gli sviluppi offensivi. Questa scelta, in alcuni casi, complica il superamento di blocchi difensivi medio-bassi e che sono in grado di scivolare rapidamente sul lato forte, complicando le combinazioni sulle catene laterali ricercate dall’allenatore della Roma.

Sarà Koné, dopo triangolazione interna con Pellegrini, a riuscire a sbucare all’interno della struttura difensiva dell’Udinese, dando di conseguenza pericolosità allo sviluppo offensivo della Roma.

Da qui, ora, la Roma può trovare l’area di rigore, rigorosamente da un accesso laterale come da preferenza di Gasperini. Sul pallone a Celik, ecco la sovrapposizione interna di Mancini, il terzo invasore, in un altro connotato tipico degli sviluppi offensivi dell’allenatore. Triangolazione (di nuovo…) chiusa e finalizzazione del laterale turco. A quel punto, l’area avversaria era stata inondata da 7 giocatori della Roma. Oltre ai due protagonisti, ci sono i tre giocatori più offensivi, il quinto opposto (Wesley), più Koné. Tutto come da ricetta originale. Ma con 22 passaggi di mezzo, una lavorazione decisamente più lunga rispetto al moto vorticoso che Gasperini era solito accentuare nelle sue squadre. Ma questa è la Roma “sbagliata”, che comunque funziona.

Post Match – Perché sono stati invertiti Mancini e Ndicka

LR24 (MIRKO BUSSI) – Come era già successo contro il Parma, anche a San Siro Gasperini ha invertito le posizioni di Ndicka e Mancini. L’ivoriano era nuovamente il centrale dei tre, con Mancini sistemato sul centro destra. Una scelta che, oltre a tener conto del duello con Leao da quel lato, pare affondare le motivazioni nella continua ricerca di Gasperini verso una maggiore propulsione offensiva. L’aspetto che più manca alla Roma per completare la trasformazione è nella capacità di rovesciarsi in area di rigore, che sia su sviluppi offensivi o ancor più su transizioni. Quello per cui, ultimamente, Cristante è stato riportato più avanti. Così da garantire quelle corse a riempire l’area che compensino i vuoti lasciati naturalmente dalle caratteristiche dei giocatori offensivi.

Soulé, come Dybala, Pellegrini o Bailey, tendono a ricevere sui piedi, dunque con movimenti incontro, al limite in ampiezza o in zone di rifinitura. Così, ad attaccare le profondità e dare quella necessaria pendenza verticale agli sviluppi e alle transizioni serviranno altre corse. Che domenica sera Gasperini ha cercato anche da Mancini, spostandolo dal centro.

Al 5′, le intenzioni sono già chiare sulla catena di destra: Mancini avvia lo sviluppo e si lancia in proiezione offensiva, bilanciando così il movimento incontro di Soulé che sta per innescare la profondità di Dybala. Per ulteriori chiarimenti, guardare la quarta foto della sequenza sopra: al momento in cui l’argentino entra in area di rigore, il romanista più avanzato è proprio Mancini, pronto ad invadere l’area.

Questa maggiore partecipazione offensiva di Mancini ha inevitabilmente delle ripercussioni nelle gestioni preventive. Come emerge dalla transizione lunga che porterà poi all’1-0 del Milan: anche in quello sviluppo da destra, c’è Mancini in area ad impegnare i centrali di Allegri. Stavolta, però, sul recupero dei rossoneri non scatta adeguatamente la riconquista immediata della Roma e il Milan può srotolarsi in campo aperto. Con Ndicka che ha dovuto caricarsi il compito del duello con Leao, inizialmente allentato per garantirsi più copertura centrale ma con l’effetto di far sfogare la capacità di conduzione dell’attaccante rossonero.

I numeri finali di Mancini, con più tocchi tra tutti i romanisti nel settore centrale del campo, i 5 passaggi completati verso gli ultimi trenta metri (2° solo dietro a Cristante), il dato di distanza progressiva, verso la porta avversaria, guadagnata tramite passaggi, spiegano come il decentramento del numero 23 possa aumentare la forza d’urto della Roma. Che più che scassinare la serratura avversaria, vorrebbe buttare giù la porta altrui con invasioni prepotenti e quelle ondate tipiche di cross o transizioni veloci che hanno reso celebri le squadre di Gasperini in passato. Che per questo, probabilmente, continua a sistemare l’acconciatura della sua squadra fino a quando ci si potrà specchiare completamente.

Post Match – Cristante svelato

LAROMA24.IT – 8 gol in 8 partite bastano per essere primi in classifica in Serie A, al momento. Ma anche per arrovellarsi alla ricerca di soluzioni, come ha fatto fin qui Gasperini. Che, tranne per le prime due giornate, ha continuamente messo mano alla disposizione o agli uomini del reparto offensivo. In principio, ad agosto, fu Ferguson con ai lati, o sotto come si preferisce, Soulé ed El Shaarawy. Poi venne Dybala, in Roma-Torino, con El Aynaoui e Soulé. Quindi il derby, in cui ritirò fuori dal mazzo Pellegrini, con Ferguson e Soulé. Con Verona e Fiorentina, invece, toccherà a Dovbyk. Contro Pioli, addirittura, nel giro entrerà anche Baldanzi. Fino all’Inter, col ritorno di Dybala come punto di riferimento offensivo, accompagnato da Pellegrini e Soulé. Due mesi a cercare una formula giusta che possa alzare il tasso di pericolosità della Roma. Che mai era risultata così minacciosa come domenica col Sassuolo: 1,74 il dato di xG finale, il più alto tra le 8 gare di Serie A disputate.

Si fa ancora più interessante il dato se spacchettato tra i decimali prodotti “open play”, vale a dire su azione, e quelli su calcio piazzato (appena 0,23xG domenica), spiegando ulteriormente come la riproposizione di Cristante all’Atalantina abbia reso più imprevedibili, velenosi e, soprattutto, verticali le intenzioni della Roma.

Il gol dello 0-1, intanto, è un piatto tipico del menù di Gasperini: la riconquista alta di Ndicka su Berardi, tratto già consolidato nella Roma 2025/26, ha trovato stavolta un veloce riciclo verso la porta di Muric grazie alla tendenza alla profondità di Cristante. Quando il difensore ivoriano passa per Dybala, intenzionato a ricevere sui piedi come l’istinto gli comanda, si vede già Cristante minacciare l’area di rigore del Sassuolo con un inserimento. A quel punto l’argentino è in una delle funzioni che più gli si addice: dare significato alle corse altrui. Prima di andare a correggere, sulla respinta, la finalizzazione mancata da Cristante.

Non sarà l’unica volta in cui Cristante (3 tiri domenica, al pari di Pellegrini e Wesley) finirà sullo zerbino di Muric. È il 33′ quando la Roma abbandona rapidamente ambizioni di costruzioni articolate e Svilar rinvia direttamente oltre la metà campo. Qui Bailey controlla e ripulisce il pallone mentre Dybala e Cristante si dividono istintivamente i compiti: l’argentino si muove verso il pallone, il numero 4 comincia ad attaccare la porta. 2 tocchi, pochi istanti e il trucco è svelato: Cristante si trova nuovamente sull’uscio di Muric. La progressiva trasformazione in mediano prettamente difensivo si nota al momento della scelta finale, con un tocco di punta destra che rimbalza sul portiere avversario ormai disteso a terra.

Poi, a metà secondo tempo, la Roma avrà completamente cambiato abito offensivo: ora sotto Dovbyk si muovono Soulé e Pellegrini. Nonostante la squadra giallorossa continuerà a produrre situazioni pericolose, dovrà farlo in maniera diversa, non avendo più giocatori così golosi di profondità nei posti offensivi. La miglior situazione della ripresa, quella che porterà al palo di Pellegrini, arriva infatti su una traccia già mostrata in passato: il lavoro di rifinitura del vertice offensivo. È inevitabile, infatti, che l’area ora sia maggiormente vuota e Dovbyk si ritrovi in forte inferiorità numerica, con Pellegrini che è richiamato naturalmente dal pallone custodito da Soulé tra le proprie zolle preferite, quelle di centro destra. Con queste caratteristiche, l’attacco dell’area di rigore richiede tempi diversi, più dilatati, e maggiori capacità associative oltre che puramente qualitative. Lo sviluppo infatti è più lento, il Sassuolo può posizionarsi centralmente prima che Pellegrini estragga un colpo di esterno destro, pregevole imitazione di quello mostrato da Dybala a Pisa, per connettersi a Dovbyk, come quella volta fece Ferguson, e andare a recuperare il pallone lì nei pressi, controllarlo nel traffico per poi tentare di scavalcare delicatamente Muric. A quel punto la Roma era diversa e percorreva strade alternative per rendersi pericolose. Più lontane, probabilmente, da quella “comfort zone” di cui parlava Gasperini. Che, magari, si sarà invece sentito coccolato dai ricordi nel primo tempo di Sassuolo-Roma.

Post Match – Perché Gasperini ha invertito Hermoso e Ndicka

LR24 (MIRKO BUSSI) – La lettura delle formazioni di Roma-Inter ha svelato le lunghe elucubrazioni che hanno accompagnato la vigilia di Gasperini. E probabilmente spiegano quanto l’allenatore romanista rispettasse l’avversario, al punto da mostrare un paio di assetti inediti. Più della scelta di Dybala come vertice offensivo, il riferimento è a Wesley, l’esterno in rosa più in grado di scendere in pista senza imbarazzi con Dumfries, e ancor di più alle posizioni di Ndicka ed Hermoso. Gasperini, infatti, decide di far traslocare Ndicka a destra e sistemare lo spagnolo sul centro-sinistra, a dispetto di quanto aveva fatto finora, utilizzandolo principalmente a piede contrario.

La domanda, generica, sulla valutazione del lavoro difensivo svolto, offre a Gasperini la possibilità di lasciare un indizio sul percorso mentale che l’ha portato a questa scelta: “Ndicka ed Hermoso sono due mancini, preferisco sia Hermoso ad uscire alto. Ci sono tanti destri che giocano a sinistra, noi avendo due sinistri su tre uno doveva per forza giocare a destra. Ma non c’entra niente con il gol”.

Perché, allora, Hermoso sarebbe dovuto uscire alto? Per gli abbinamenti scelti nelle consuete pressioni con riferimenti sull’uomo. Infatti, la Roma pareggiava i tre difensori dell’Inter con i propri giocatori offensivi. Pellegrini, Dybala e Soulé si spartivano così Akanji, Acerbi e Bastoni. Koné era il delegato su Calhanoglu, Cristante avrebbe girato con la foto segnaletica di Mkhitharyan e Barella, dunque, rimaneva come “dispari”. Serviva dunque un terzo di difesa, sul centro sinistra, che rompesse continuamente in avanti per andare ad accorciare sulla mezzala di destra di Chivu. Come si vede chiaramente dall’istantanea presa a metà primo tempo. A quel punto, Mancini e Ndicka sarebbero stati i responsabili dei duelli con Lautaro e Bonny. Con l’ivoriano considerato, presumibilmente, più dotato fisicamente per reggere l’urto e la verticalità dell’ex Parma, anche in rapporto alle caratteristiche tecniche e fisiche di Mancini o Hermoso.

Qui, inevitabilmente, l’Inter ha giocato per stuzzicare le scelte difensive di Gasperini. Barella, assecondando quella che è stata la sua evoluzione nel tempo, tendeva principalmente verso la propria costruzione che ad invadere il campo romanista. Questa scelta portava Hermoso a doversi allontanare sempre di più dal proprio habitat naturale. È chiaro già al 4′, prima dello 0-1, come Barella funga da esca. Nella scena immortalata sopra è Mancini a prenderlo in consegna, seguendo il movimento del centrocampista dell’Inter fino a una decina di metri da Sommer, in possesso del pallone al limite dell’area. Quando Barella arriverà ad abbassare la sua posizione al lato del portiere nerazzurro, addirittura sotto la linea del pallone, allora Mancini batterà la ritirata preferendo una superiorità difensiva sull’ultima linea.

Sarà questa la sceneggiatura su cui poggerà il gol poi decisivo nella partita. Sulla costruzione alta dell’Inter, Barella si apre in ampiezza, al lato di Akanji in possesso. Il pallone è lasciato “aperto” da Pellegrini che non ha ancora alzato la pressione sul proprio riferimento, per questo Hermoso sceglie inizialmente di allentare la presa su Barella. Quando scatta il passaggio del difensore ex City in direzione del centrocampista, Hermoso abbandona i blocchi per uscire. Comportamento in linea con i dettami generali di Gasperini che, infatti, nel post partita approverà la scelta dello spagnolo. Inevitabilmente, in questo modo si concede un facile accesso diretto per la profondità, con Mancini orientato su Lautaro, posizionato tra le linee, e Ndicka chiamato a gestire Bonny.

Qui si apre l’altro capitolo decisivo dell’episodio: la scelta del centrale ivoriano su come proteggere quella profondità. Invece di seguirne il taglio, impegnandosi in un duello su 30-40 metri, Ndicka tenta di spegnere il pericolo con la soluzione meno dispendiosa ma anche più rischiosa, il fuorigioco. Senza avere la giusta coordinazione con Celik, inizialmente allineato, Ndicka, scegliendo il passo in avanti, si procura un forte ritardo nell’inseguimento che faciliterà poi la finalizzazione a Bonny.

Post Match – Da Pisa a Firenze

LR24.IT (MIRKO BUSSI) – Era comunque in Toscana, era lo stesso il primo gol di una partita e a metterci la firma ancora Soulé. Così come la Roma aveva colpito a Pisa, lo fa un centinaio di chilometri più in là e poco dopo un mese. A Firenze come quella sera del 30 agosto: ingresso in area con passaggio diagonale da sinistra, lavoro di sponda dell’attaccante, raccolto e impreziosito da Soulé. La rete dell’1-1 di domenica ricorda molto da vicino quella decisiva nello 0-1 di Pisa.

La particolarità del gol di domenica è che arriva in un contesto poco frequente nelle abitudini di Gasperini, al termine di una sequenza di 14 passaggi che ha portato la Roma a monetizzare un attacco posizionale. Raramente, infatti, l’allenatore giallorosso preferisce elaborati così lunghi, tant’è che la Roma è 8a in Serie A, dietro tutte le big, per sequenze da più di 10 passaggi. Preferisce, o preferirebbe, andare dritto al punto, a minacciare l’area di rigore. Ma quel discorso sulla comfort zone di qualche conferenza fa di Gasperini pare trovare forma anche in questo aspetto: la necessità di associarsi, per caratteristiche, dei giocatori offensivi della Roma, ne obbliga ad aumentare la verbosità degli sviluppi offensivi. Pochi, infatti, i giocatori offensivi in dote che possono mettersi in autonomia, tramite dribbling o strappi incisivi, negli ultimi metri di campo.

E allora è necessario legarsi, mettersi in comune. Come avviene nell’1-1 di domenica: da Koné, posizionato in ampiezza, si passa per Dovbyk che mostra quantomeno dedizione nello studio della parte, inarcando il corpo e mantenendo il proprio marcatore alle spalle prima di rifinire con un tocco d’esterno che Soulé trasformerà in assist dopo essersi smarcato centralmente.

Una traccia che verrà riproposta poco dopo, al 27′, stavolta in un contesto di transizione. Dopo il recupero di Koné, la Roma si dispiega nuovamente da sinistra, da dove Baldanzi produrrà un altro passaggio diagonale ancora dalle zolle intorno al vertice dell’area di rigore. Stavolta viene saltato il lavoro di rifinitura dell’attaccante, con Dovbyk che attaccando la porta si trascina in basso i centrali rimanenti di Pioli. Liberando, così, quella zona di finalizzazione all’altezza del dischetto. Dove si è smarcato nuovamente Soulé che calcerà da una posizione ancor più favorevole rispetto a quella dell’1-1.

A Pisa, nell’opera originale, era stato Dybala a far accedere all’area di rigore sempre dai cancelli del vertice sinistro, con un passaggio d’esterno che fu protetto, levigato e poi ridistribuito da Ferguson, sempre per Soulé, protagonista di un altro smarcamento simile a quello visto domenica pomeriggio.

Nelle tre situazionali analizzate, le due di domenica al ‘Franchi’ e quella che valse il jackpot a Pisa, c’è una costante e un’eccezione delle abitudini emerse dalle prime 6 gare della Roma di Serie A. La costante è rappresentata dalla finalizzazione di Soulé: 18 tiri in questo primo scorcio di stagione, di gran lunga il principale “tiratore” romanista, con almeno il doppio delle conclusioni rispetto ad ogni compagno. Il secondo in graduatoria, con 9 tentativi, è addirittura Cristante. Nel dato aggiustato sulla media per i minuti giocati, Dybala ed El Shaarawy hanno più tiri (4,53 e 3,57 contro i 3,34 del numero 18 romanista) ma conferma come l’argentino, alla sua seconda stagione, sia ora l’attore principale dell’attacco romanista.

L’eccezione, invece, è rappresentata dal punto di ingresso: le 3 situazioni messe alla lente, infatti, hanno accessi in area da sinistra, così da facilitare la conclusione per il mancino di Soulé. In realtà, però, la Roma pende a destra: domenica scorsa l’82% degli attacchi è arrivato dalla catena di Celik, Wesley e appunto Soulé. Con 1,16 punti di xG, su 1,42 complessivi, prodotti proprio partendo da destra. Appena il 16% degli attacchi è arrivato da sinistra, soltanto il 3% dal centro. A volte, però, uscire dalle abitudini permette di scoprire scorci migliori.

Post Match – Stanchezza indotta

LR24 (MIRKO BUSSI) – Domenica col Verona la Roma ha chiuso la prima settimana con il triplo impegno, un aspetto che caratterizzerà il calendario romanista da qui alle porte di Natale. Infatti, oltre ad altri 5 turni di Europa League prima della sosta natalizia, ci sarà una giornata infrasettimanale di Serie A e gli ottavi di finale di Coppa Italia a rendere un’abitudine la settimana appena conclusa. Ad accentuare la crisi energetica che ha coinvolto “più di qualcuno”, come dirà Gasperini nel post-partita, c’è stato l’intreccio col Verona, ad oggi tra gli ospiti meno graditi per chi cerca una domenica rilassante.

La squadra di Zanetti, infatti, ha obbligato la Roma ad aumentare addirittura i carichi rispetto al solito: domenica i giallorossi hanno fatto registrare oltre 114 chilometri percorsi mentre contro Lazio e Torino, le ultime due affrontate in campionato, il dato si era sempre stabilizzato sui 112. Non solo, di quei 114 chilometri, i giocatori romanisti hanno dovuto percorrerne più di 20 a velocità sostenuta (tra i 7 e i 15 chilometri orari) e quasi 2 (1,85) in sprint (con velocità, dunque, superiori ai 15 chilometri orari). In nessuna delle altre due gare, contro Lazio e Torino, la Roma era stata così stressata fisicamente.

Il motivo di tanta fatica fisica, come spesso accade, ha risposte “calcistiche”, di squilibri che obbligano a corse d’urgenza per sopperirvi. Il Verona, intanto, arriva all’Olimpico con la nomina di squadra più diretta della Serie A, appena dietro il Pisa. 2,62, in media, i passaggi di ogni sequenza degli scaligeri, seconda appunto solo alla squadra di Gilardino (2,57). Il prima possibile, infatti, il Verona cerca uno sfogo per la profondità. E lo fa a velocità vertiginose: oltre che per la motorizzazione montata da Giovane e Orban, proprio per la rapidità con cui sanno far schizzare il pallone verso la porta avversaria, aspetto in cui soltanto il Lecce si mostra superiore nei dati Opta.

Uno dei temi più prevedibili, dunque, sarebbe stato quello delle seconde palle: con duelli aerei particolarmente stimolati da entrambe le parti, vista anche l’aggressività del Verona sulla costruzione della Roma, chi avrebbe raccolto i frutti successivi si sarebbe guadagnato ghiotte opportunità. Al 48′, infatti, il tiro alto di Giovane che spaventa la Roma è l’effetto di una seconda palla guadagnata da Bernede in seguito al colpo di testa di Ndicka. Da qui, Orban va subito a tentare di mangiare la profondità di Mancini che riesce solo a rimandare il pericolo, con l’intervento che apparecchierà il tiro a Giovane.

Oppure, al 78′, sarà direttamente Montipò a sottolineare quanto la Roma faticasse a tenersi stretta, con un rilancio che arriverà direttamente da Sarr, abile a controllare e condurre fino a una zona di tiro, poi innocuo.

Non solo “pallonate”, però. Perché il Verona ha mostrato anche modelli di costruzione che possono scalfire i sistemi orientati sull’uomo come quello della Roma di Gasperini. Come al 15′: scartata la pressione di Pellegrini con una finta a rientrare, Unai Nunez trovava la traccia verticale per Giovane che, muovendosi incontro aveva portato fuori Ndicka. Una giocata al terzo uomo liberava il pallone per Serdar che a quel punto poteva mettere in pista Belghali, su cui Angelino inevitabilmente, su lunghe distanze, faticava a mantenere una posizione di vantaggio. Da qui nascerà il cross che condurrà alla prima, grande, occasione di Orban.

In generale, l’abilità dei giocatori offensivi (i vertici) di legarsi tra loro e saper giocare anche con pressione alle spalle, è uno dei principali antidoti al sistema di riferimenti a uomo. Non è un caso, infatti, che le abilità combinate di Lautaro e Thuram, tra i massimi esponenti nel panorama italiano sul tema, hanno prodotte le giornate peggiori per Gasperini e l’Atalanta negli anni passati. Così anche nella ripresa, quando Svilar è costretto ad uscire ritrovandosi Orban nuovamente a tutta velocità contro, è l’effetto di un anticipo mancato da Ndicka su Giovane.

Anche qui, la costruzione è ridotta a un passaggio addosso ad uno dei due vertici offensivi del Verona che, stavolta, si mettono in proprio: Giovane fa rotolare in qualche modo il pallone alle spalle del numero 5 della Roma, Orban fa valere la differenza di cavalli rispetto a Mancini, lanciandosi verso la porta. È il 67′, come mostrato nei fotogrammi sotto, ma succederà nuovamente al 69′, quando un’altra giocata al terzo uomo tramite Giovane libererà il pallone per il Verona dietro il primo blocco di pressioni della Roma obbligando ad un’altra, vertiginosa, scappata a protezione della profondità i difensori giallorossi. Una serie di difficoltà, dunque, che hanno finito per aumentare il chilometraggio, e le velocità, necessarie a tenere in piedi il sistema. Ma, in fondo, le vittorie aiutano a velocizzare anche i processi di recupero energetico.

Post Match – PPDA: Per Prendersi il Derby Ancora

LR24 (MIRKO BUSSI) – Nel glossario del calcio, tra le varie metriche, negli ultimi anni si è inserito con sempre più frequenza il PPDA, utile a quantificare l’intensità, o l’efficacia, delle azioni di riconquista del pallone. Acronimo di “Passes allowed Per Defensive Actions”, passaggi concessi all’avversario prima di un’azione difensiva come può essere un fallo, un intercetto, un tackle o un duello vinto, consente di avere un riferimento su quanto una squadra sia attendista o meno nel recupero del pallone. Di conseguenza, più il valore risulterà basso, più la squadra sarà aggressiva, non concedendo un prolungato possesso del pallone all’avversario.

Dopo 4 giornate di campionato, aspettando Napoli-Pisa che comunque non sembrano in grado di stravolgere la graduatoria, la Roma è la seconda squadra in Serie A col dato più basso di PPDA. Soltanto il Como, per questioni di decimali, appare meno paziente con gli avversari in possesso (6,05 il dato). 6,13, in media, i passaggi concessi all’avversario prima di morderlo definitivamente. Sei passaggi, proprio quelli che vanno da Provedel a Tavares ieri, nella dinamica del recupero offensivo di Rensch che ha dato la luce al gol di Pellegrini. PPDA, stavolta, sta per ‘Per Prendersi il Derby Ancora’.

Nelle prime pressioni, come da regola di Gasperini preparate con riferimenti a uomo e dunque in parità numerica, Soulé e Ferguson avevano in consegna i rispettivi centrali oltre all’uscita conseguente sul portiere. Pellegrini sigillava Rovella mentre Angelino e Rensch, pur offrendo inevitabilmente maggior tempo di ricezione, erano pronti a saltare su Marusic e Nuno Tavares, con Koné e Cristante che si accoppiavano naturalmente alle mezzali di Sarri, Guendouzi e Belahyane, dopo l’uscita di Dele-Bashiru. Il tentativo di Provedel di saltare il primo blocco di pressioni giocando direttamente da Zaccagni veniva respinto indietro dalla guardia di Celik che obbligava di spalle l’attaccante esterno biancoceleste.

I 4 passaggi ripetuti tra Nuno Tavares e Belahyane, da qui in poi, denunciano le difficoltà della Lazio nell’uscire dalla pressione romanista che intanto cominciava a stringere la presa intorno al collo della squadra di Sarri finché il terzino sinistro non cadeva praticamente privo di sensi nel recupero di Rensch. Nella prima mezz’ora, già tre volte la Roma aveva strappato palloni in zona offensiva senza però monetizzarli: succede al 10′ in due rinvii dal fondo consecutivi della Lazio e poi di nuovo al 15′.

Quel recupero di Rensch verrà poi riconvertito definitivamente da Soulé con un passaggio all’indietro, a ridosso del limite dell’area, dove Pellegrini è all’appuntamento col destino. Un luogo e un percorso accuratamente calcolato: solo nel primo tempo, infatti, la Roma ricercherà 3 volte quel genere di rifinitura. Oltre al gol, già al 3′ lo sviluppo romanista porta Rensch in zona di cross: l’olandese non ha dubbi e serve all’indietro, in una sorta di cut-back, Pellegrini appostato proprio lì dove mezzora dopo sprigionerà l’emozione più intensa della giornata. In diagonale dietro di lui, a rimarcare come la zona fosse specificatamente ricercata, c’era anche Ferguson in gustosa attesa del pallone.

E di nuovo al 46′: Soulé aziona Rensch nelle stesse zone esterne, passaggio all’indietro in zona dischetto per Pellegrini che stavolta di sinistro non preoccupa particolarmente Provedel. La scelta era costruita sui principi difensivi tipici delle squadre di Sarri: orientandosi esclusivamente a zona, sugli attacchi laterali la linea difensiva tende a collassare verso la porta concedendo opportunità di finalizzazione nell’ultimo settore orizzontale dell’area di rigore (da 5,5 metri l’uno…), evidenziato facilmente dal colore più chiaro dell’erba dell’Olimpico. Quando, su transizioni o sviluppi particolarmente veloci, i centrocampisti non riescono ad abbassarsi per proteggere quella porzione, è il centrale più lontano, Gila in questi casi, a tentare di rompere per ostruire il tiro ma la distanza dall’avversario rende difficile l’operazione. Altri fattori che hanno inciso sul PPDA di domenica, non quello canonico ma il progetto romanista ‘Per Prendersi il Derby Ancora’.