La vera lacuna

LAROMA24.IT (AUGUSTO CIARDI) – Quasi più direttori marketing che allenatori e direttori sportivi. Gente quotata proveniente da aziende come Adidas, manager con l’NBA nel curriculum. Grandi esperti di settore giustamente annunciati in pompa magna, che non hanno cavato un ragno dal buco.

Perché quando arrivarono i primi americani a Roma, nel 2011, potevano sorgere dubbi sulle scelte tecniche, ma sul fronte marketing e fatturato c’era la certezza che la Roma avrebbe svoltato. Perché fino a quel momento la pigrizia mentale faceva credere a molti che bastava spendere il nome di Roma per essere abbinati commercialmente alla Coca-Cola o a Bill Gates. Che sulle brochure da presentare alle grandi aziende per ottenere decine di milioni di euro sarebbe bastato incollare la foto dei fori imperiali. Cazzate.

Roma calcisticamente è sempre stata periferia del mondo, salvo rari casi, quindi le servivano strategie strutturate da chi sa come si fa. E chi meglio degli americani? Chiunque, potremmo rispondere a distanza di quindici stagioni. Perché la Roma continua a sperare di fare cassa soltanto attraverso la cessione dei calciatori.

La domanda di ogni giorno non dovrebbe essere “chi vendiamo a giugno?” ma “possibile che dal 2011 soltanto tre volte la Roma ha avuto il main sponsor?”. Una di queste tre volte è finita male, perché la Digitalbits, fino al 2023 partner del club, così come dell’Inter, non ha saldato i conti. Servirono sette anni alla gestione DiBenedetto-Pallotta per scrivere un nome portato da loro sulla maglia, la Qatar Airways. Fino al 2013 c’era la Wind, ma per accordi antecedenti al cambio di proprietà. Erano gli anni in cui se le persone di buona volontà provano a chiedere per quale motivo non si poneva rimedio, da Trigoria rispondevano stizziti e infastiditi da quesiti così stolti che la Roma puntava in alto e rifiutava partnership legate a cifre giudicate inadeguate. Avevano un’idea distorta della “potenza” del club. Ingaggiavano fior di professionisti ma, fatti alla mano, appunto, non cavavano un ragno dal buco. Penalizzando il fatturato. Fatti inconfutabili perché la Roma negli uffici commerciali aveva già all’epoca le porte girevoli. E se cambi di continuo direttori marketing significa che stai lavorando male. Ma non lo ammettevano.

Nel 2021, era Friedkin, la Roma si votò alla Digitalbits, per interrompere il rapporto dopo neanche due anni, ad aprile 2023, a stagione in corso, per il mancato pagamento di una rata, mentre a Milano l’Inter aveva tolto quel marchio dalla maglia cinque mesi prima, ma soltanto perché le rate avevano scadenze diverse da quelle della Roma. Quindi toccò alla Riyadh Season, accordo dall’ottobre 2023 al giugno 2024 (25 milioni complessivi).

E oggi? La Roma è l’unica squadra di Serie A, per ora, oltre alla Lazio, a non avere il main sponsor. Ovvio che molti main sponsor pagano cifre considerate irrisorie per il calcio di oggi. Ma da zero a cento, dieci è sempre meglio di zero. Soprattutto quando devi fare i conti col pallottoliere, e quando ogni volta che c’è da produrre introiti, ci si vota alla cessione dei calciatori. Una regola fissa nell’era Pallotta, una prospettiva dichiarata per l’attuale proprietà. Più facile vendere oro e argento di casa che accettare proposte un po’ più basse delle pretese per l’affitto di un immobile di proprietà non utilizzato.

La Roma non risolverebbe tutti i problemi facendo funzionare al meglio il comparto commerciale, ma avrebbe comunque un’entrata adeguata e utile su cui puntare. Milan e Inter hanno una situazione debitoria peggiore della Roma ma possono contare su introiti superiori. E allora sotto la minaccia incombente del “cartellino rosso” dell’Uefa, si riaprono le danze sul rischio cessioni a giugno. Come se fosse una novità. Come se non se ne parlasse, spesso anche a sproposito (nel giugno scorso si dava quasi per scontato che la Roma avrebbe dovuto svendere Svilar e Ndicka), tutti gli anni.

Ma lo sponsor? Qualcosa si sta muovendo, ma non riempirà il vero buco nero degli ultimi tre lustri.

In the box – @augustociardi75

Ricordati che devi morire

LAROMA24.IT (AUGUSTO CIARDI) – Storicamente periferiche rispetto al calcio d’élite, Roma, Lazio e Napoli hanno messo la testa fuori dall’anonimato in diverse epoche per vincere e poi ubriacarsi di festeggiamenti, minando le basi per una continuità mai raggiunta. Ci sta provando da un paio di anni il Napoli a cambiare il corso di storie spesso già scritte. Perché il Napoli sembra avere gettato basi solide, acquisendo consapevolezza. Rendendosi conto che vincere è bello, ma vincere di nuovo lo è ancora di più. E per vincere di nuovo bisogna correre il rischio di impresa, rompere gli schemi e stracciare il copione assegnato alle comparse.

Roma invece vive una fase di assuefazione. Una parte di Roma ha, in parte, sempre rigettato chi le ha indicato la via della premiazione, perché si è forse sentita scuotere da un intorpidimento pigro e comodo, causato da un’indolenza spesso presuntuosa. Il massimo a cui si aspira da quasi dieci anni è il quarto posto. Ma per assurdo, per cavalcare l’ambizione, parte della piazza dà la caccia alle streghe, identificate in chi ha doti superiori alla media. Gente da sacrificare sull’altare di Nyon. L’ultimo esempio è Kone. Centrocampista coi fiocchi. Arrivato nell’estate 2024. Erano mesi di tumulti e di guerre intestine, e l’acquisto passò sottotraccia, perché altrove si godono i rinforzi di qualità, a Roma si litiga per assegnare la paternità dell’operazione. È stato Ghisolfi, no De Rossi lo ha imposto, ma che dici c’è la mano della Souloukou. Non c’è più nessuno dei tre nella Roma, ma alcuni avrebbero voluto che non ci fosse più manco il nazionale francese. Che ieri sera è salito sul podio dei migliori, battuto per rendimento soltanto da Tchouameni. Meno di un mese fa, a ferragosto non c’era manco il solleone, perché il tempo faceva schifo. Quindi non fu un colpo di calore a fare sperare che la Roma lo vendesse all’Inter. Attenzione, non mettiamo in mezzo Gasperini. Lui extrema ratio se ne sarebbe privato qualora poi si fosse completata la rosa con un suo sostituto e con due esterni offensivi di qualità elevata. Non certo coi ragazzini del Chelsea e del Manchester City.

Metà agosto e Roma spaccata a metà. Da una parte chi già si era listato a lutto, dall’altra i tana libera tutti, quelli del “via Kone, perché nel calcio moderno certe offerte vanno accettate”. Alt, quali offerte? Visto che l’Inter fece sapere, senza mai presentare proposte ufficiali, che forse sarebbe arrivata a trentacinque milioni? Ossia stava pensando di formulare un’offerta irricevibile. Irrispettosa. E poi, chi ha stabilito che nel calcio moderno devono essere venduti i migliori? Di norma, i migliori servono per avvicinarsi ai risultati che, nell’era del calcio pensato negli studi dei commercialisti, creano il miglior indotto economico. Invece no, la Roma paesone della provincia molisana guarda con fare sospetto il forestiero benestante che va in giro per i vicoli del centro storico e del borgo medievale arroccato fra le montagne. E spera che se ne vada il prima possibile, perché la sua presenza scombussola le abitudini locali. Spesso cattive. Non a caso i media francesi nel commentare la trasferta della loro nazionale, esaltando Kone si sono chiesti per quale motivo sia rimasto alla Roma e non abbia spiccato il volo verso top club. Roma considerata periferia provinciale del calcio che conta. In barba anche alla dignità mostrata dalla Roma nelle coppe europee. E questo dovrebbe fare riflettere. Perché degli ultimi quindici anni, targati Stati Uniti, se ne salvano forse cinque. Quindici anni con la Roma uscita dall’anonimato soltanto nell’anno della semifinale di Champions League, nel biennio in cui ha ha vinto la Conference League e si è vista scippare l’Europa League, e forse il primo anno di Garcia in panchina e quello del record di punti con Spalletti.

Stagioni a metà, perché quando andava bene nelle coppe collezionava figuracce in campionato, e viceversa. Una miseria che ha indotto al ridimensionamento delle ambizioni, forse inconscio, al punto che se parte un calciatore forte ci si bea della cifra incassata. Kone parte bene con la Roma e detta legge in nazionale? Ottimo, a giugno speriamo che ci arrivi un’offerta da cinquanta milioni. Pensieri strani indotti da campagne mediatiche ansiogene, stile “ricordati che devi morire” perché ogni volta che arriva giugno sembra che la Roma debba svendere i migliori per non fallire.

In the box – @augustociardi75

Excusatio non petita

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Nei giorni del condor, la Roma ha fatto la figura dell’allocco. Capita. L’importante è prenderne atto. Nella città in cui ha attecchito la nuova frontiera del tifo per i direttori sportivi, diventa difficile negare che il club si sia incartato sul fronte esterno d’attacco. Badate bene. Chi fa comunicazione, che sia radio, TV, social, siti e live, ha nell’equipaggiamento una bella dose di narcisismo. Il sottoscritto non lo nega neanche per se stesso. Ci piace la nostra voce, ci piacciono le righe che scriviamo, siamo innamorati delle nostre idee.

In questo caso però la necessità di reperire un esterno offensivo non era un capriccio da speaker o da insider. Non era neanche un desiderio dei tifosi vogliosi di andare in aeroporto ad accogliere il nuovo eroe. Era una richiesta specifica dell’allenatore. Che parla pubblicamente, le cose non le manda a dire. È un suo marchio di fabbrica. E Gasperini ha chiesto in più occasioni l’esterno.

Si era fissato con Sancho, ok, ma la Roma ha messo una pietra sull’utopia nei giorni antecedenti Roma-Bologna, datata ventritre agosto. Avendo quindi a disposizione una decina di giorni per trovarne un altro. Li ha spesi per chiedere il prezzo di George, per rimuginare su Echeverri, uno dei tormentoni delle ultime settimane, e per tergiversare su Dominguez. Alla fine della giostra non è arrivato l’esterno ma non solo, la Roma si è incartata anche su quei fronti che avrebbero completato la campagna acquisti e cessioni con operazioni di contorno. Perché a cascata sarebbe stato ceduto Baldanzi al Verona e sarebbe stato ingaggiato Pessina dal Monza. E l’esterno last minute poteva essere Dominguez del Bologna. Saltato tutto.

Come lo scambio fra Dovbyk e Gimenez, che aveva un sapore da disperazione di fine mese. Come è saltato Embolo, ex promessa mezza rotta, che stanco di aspettare le titubanze della Roma ha preferito la periferia francese del Rennes. Baldanzi al Verona, Pessina dal Monza, Dominguez dal Bologna. Il Verona di Zanzi, il Monza di Baldissoni, il Bologna di Fenucci. Mette malinconia pensare che la Roma per cavare un ragno dal buco si sia affidata ai vecchi “amici”. Non riuscendo a chiudere neanche una di queste operazioni. Che poi almeno un paio di queste chiamavano in causa Riso. Zanzi, Baldissoni, Fenucci e Riso. A volte ritornano.

La speranza è di avere un giorno una Roma emancipata sul mercato, che batta nuove strade, e che si esauriscano le moda del tifo e dell’odio per i dirigenti. Per evitare mistificazioni delle realtà. Basterebbe analizzare il loro lavoro senza difese o attacchi d’ufficio. Senza fare busti al Pincio o invocare lapidazioni di piazza, tipo l’anno scorso per Ghisolfi, al centro di una shitstorm vomitevole (immaginate ci fosse stato lui, ora, a chiudere il mercato della Roma in questo modo). La Roma ha effettuato buone operazioni, ma negli ultimi quindici giorni ha collezionato flop. Manca l’esterno d’attacco che l’allenatore ha chiesto. Bastarebbe ammetterlo.

In the box – @augustociardi75

Non può fini’ così

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – A meno che non si siano del tutto rincoglioniti, il finale sarà diverso da quanto fanno presagire le ultime scene del film. Perché non è possibile in due mesi passare dall’esaltazione per il tridente delle meraviglie Ranieri, Massara, Gasperini alle cronache dal disagio scandito dal ritmo incessante di post su X, dove chiunque assurge al ruolo di esperto di mercato, con imbarazzanti improvvisati che si affiancano ai più noti e accreditati esperti, che pure loro di cantonate ne prendono tante.

Semplice considerazione legata alla logica e non alle ricostruzioni (spesso condizionate dagli interessi delle fonti): ma può essere mai possibile che un allenatore esperto si incaponisca così tanto da chiedere fino all’ultimo istante un calciatore che non vuole più fare il calciatore? Al punto che un direttore sportivo, esperto, vada tre giorni a Londra in cerca di schiaffi, incassando il no da uno che sta con la testa alla scena hip hop della west coast americana, e che sia talmente sprovveduto da ripiegare su un giovanissimo calciatore per il quale il club proprietario chiederebbe, a detta degli esperti, cifre e diritti sulla futura rivendita quasi da strozzinaggio? Riflettiamo. O si sono del tutto rincoglioniti, appunto, oppure le cronache dal mercato non corrispondono alla lettera a ciò che viene sventagliato ogni trenta secondi e a cui tutti credono senza spirito di critica e di messa in discussione del testo. E magari scopriremo in questi ultimi quattro giorni, che le strategie di ripiego della Roma, per un mercato comunque complicato e condito da errori e sottovalutazioni di alcune vicende, fossero altre.

Di solito in questi casi irrompe sulla scena Dan Friedkin, che quando si sposta, oltre a fare saltare teste a Trigoria, durante le sessioni di mercato cambia la sceneggiatura e piazza colpi apparentemente impensabili. Nel mentre, Gasperini ha fatto ciò che tutti gli allenatori dovrebbero fare, ha messo pressione, sana e sacrosanta. E Massara come tutti i direttori sportivi a mercato aperto, è esposto ai quattro venti, perché funziona così. Da sempre. Solo che quando succede a Roma, Roma si divide con l’accetta. La Roma passa in secondo piano e si gioca il palio dei rioni e dei quartieri. Io mi prendo il mister tu parteggi per il dirigente. Du’ palle.

In the box – @augustociardi75

Fine delle trasmissioni

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Il risoluto Gasperini, come accade in ogni ambito a chi dall’esterno arriva e ha più lucidità degli stanziali, ha liquidato la vicenda Pellegrini con tre frasi. Rispondendo oltretutto a una domanda che verteva sull’aspetto tecnico del calciatore e non gestionale. L’atto finale di una storia tormentata.

A Pellegrini fece malissimo il finto supporto degli anti mourinhani che lo elessero per interessi personali idolo dopo la cacciata del portoghese. Perché Pellegrini fu considerato ingiustamente il capo della congiura, l’eroe di chi auspicava il golpe. Dando fiato pure alle penose discussioni sul famigerato anello lasciato nell’armadietto. Aneddoti e dettagli spiattellati da chi accolse l’esonero dell’allenatore come il giorno più bello della propria esistenza. E che si sono rivelati deleteri per il calciatore. Una manciata di partite di buon livello con De Rossi in panchina e apriti cielo. A quel punto c’era chi ne voleva sei di Pellegrini, manco tre. Poi di nuovo il calo, anzi il crollo, con l’unico guizzo nel derby di inizio anno. Una via crucis che sta toccando l’ultima tappa. Passando per l’operazione in Scandinavia, le vacanze in famiglia e poi l’altra operazione al naso, che ha lasciato molto dubbi per la tempistica.

Gasperini non lo ha mai avuto in allenamento e ha parlato chiaro. Invitando club e calciatore a fare altrettanto. Perché per paradosso la Roma per Pellegrini è diventata una gabbia d’oro e Pellegrini per la Roma è diventato un mobile da cucina piazzato in mezzo al salone. Dispiace chiudere così, perché nessuno potrà mai mettere in discussione il senso di appartenenza del ragazzo, ma trascinarsi per altri dodici mesi sarebbe uno stillicidio. I numeri di Pellegrini in campo non giustificano le intenzioni dei club che sarebbero interessati alle sue prestazioni. Numeri di campo e cifre del contratto da top player che in campo non dimostra di essere dal 2021-22. Ha un agente abilissimo sul mercato. Mentre la Roma ha un direttore sportivo con le conoscenze giuste. L’auspicio è che, con il benestare del centrocampista, le parti si adoperino per evitare il due settembre di riaprire un file di discussioni ammorbante, che è giusto chiudere definitivamente.

I separati possono restare sotto lo stesso tetto soltanto in caso di indigenza economica. Dramma di mariti e di mogli strozzati dalle spese in un Paese che si preoccupa del prezzo del Camogli in Autogrill e del caro ombrellone ma non muove un dito per adeguare al costo e agli aumenti della vita stipendi vergognosi e irriguardosi, fermi al millenovecentonovanta. Il calcio non prevede queste urgenze da comuni mortali. Ma sta comunque attento ai conti, e Pellegrini nel complesso costa tanto per chi è interessato a lui. Ma bisogna scrivere la parola fine per salutarlo come merita, con affetto e con un grosso in bocca al lupo. Senza che la storia si intossichi più del dovuto.

In the box – @augustociardi75

Non presentiamoci

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – La domanda nasce spontanea: non sarebbe meglio non presentarsi contro il Bologna? E perché c’era attesa per capire se con il Pisa si giocherà in Toscana o a Cagliari? Tanto è tutto finito prima di cominciare, no? Non sono bastate le fazioni interne del passato che laceravano nei risultati la squadra mettendo in contrapposizione allenatori e dirigenti, presidenti e consiglieri?

Siamo appena entrati negli ultimi dieci giorni di agosto, ma già si emettono sentenze da tarda primavera. Due mezze amichevoli, e Wesley è il nuovo Ivan Piris. Si descrive Massara come una povera vittima del famelico e ingordo Gasperini, che ancora non ha perso una partita ma già fa storcere la bocca perché chiede troppo. Come se non si conoscesse il carattere dell’allenatore. Come se non sia da considerare una risorsa un allenatore che tiene tutti sulle spine in una piazza che storicamente si abbiocca fra cuscini in memory e materassi altissimi e con le molle insacchettate. Un allenatore che batte sul ferro fino a che il ferro non si consuma, pure se non è caldo. Le solite storie. Si predica progettualità e si razzola giustizialismo immediato, per direttissima. Roma continua a vivere i suoi deleteri spinoff. Che evidentemente tirano più della serie originale. Quella che dovrebbe creare attesa per il campionato oramai alle porte. Quel campionato in cui la Roma da troppo anni fa la comparsa. Invece no. Si comincia già a parlare delle cessioni del prossimo giugno di Svilar, Kone e Soule, si dà già per scontato che nella migliore delle ipotesi si arriverà settimi. Come se non fosse bastato il giugno ultimo. Il mese delle più grosse inesattezze scritte e dette sulla Roma. Che avrebbe dovuto svendere più che vendere i suoi gioielli altrimenti l’Uefa avrebbe usato la mano pesante. Salvo poi scoprire che non c’era questa necessità, e che le lievi sanzioni pecuniarie comminate erano relative al 2024, all’anno prima.

Mentre nel clima di terrore instaurato si pontificava sulle pene corporali che la Roma avrebbe subito dopo processo per direttissima a causa del bilancio che stava per chiudere. È durata un amen la felicità di avere finalmente gente competente nel comparto tecnico, Ranieri, Massara e Gasperini, che per molti sono già diventati l’assente, la vittima e l’ingordo. Minimo comune denominatore: vengono considerati tre imbecilli, perché se tre professionisti di quel calibro avessero accettato la Roma a scatola chiusa, non sapendo cosa si dovessero aspettare, staremmo parlando di tre imbecilli da interdire calcisticamente. All’esterno, nel frattempo, la Roma viene percepita come una società alla canna del gas e come una squadra in disarmo, e pure sfigata. Speriamo se ne convincono le avversarie, e che la prendano sottogamba.

In the box – @augustociardi75

Segnali

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Il calcio moderno, che predica morigeratezza ma accumula debiti causati dagli stessi che poi lanciano moniti ai tifosi che non avrebbero più neanche il diritto di sognare, dimentica sempre più spesso quei fattori determinanti per le stagioni delle squadre e che non sono catalogabili. Perché non c’entrano nulla con la tattica e tantomeno con le strategie finanziarie. Il calcio moderno non contempla più le conseguenze dei segnali. Sbagliando.

Tenere un calciatore forte è un segnale. Non soltanto alla piazza ma, cosa molto più importante, allo spogliatoio. Stessa cosa vale quando a dispetto dei conti un club corre il rischio di impresa ingaggiando un calciatore di nome, oltre che forte. Situazioni che fungono da acceleratori di stimoli. Segnali chiari, non ambigui, che non vanno interpretati. Da ferragosto non si è parlato d’altro che di Kone. Tifosi, giornalisti, speaker e opinionisti possono dividersi, sempre nel rispetto delle opinioni altrui. Perché non è un povero coglione ignorante chi si dispiace per le cessione di un calciatore forte, e allo stesso tempo non è un ruffiano chi ritiene giusto accettare certe offerte. Ma tifosi, giornalisti, speaker e opinionisti non avranno mai il peso dei calciatori. Dello spogliatoio. La conferma, a fronte di un offerta più o meno congrua di un elemento di peso della squadra, è un segnale di forza. Così come l’arrivo di un calciatore di grido. Perché immaginiamo nello spogliatoio i compagni che si danno di gomito dicendo “questi fanno sul serio”, parlando della società. Mentre invece le partenze eccellenti, che sono una manna per il bilancio, così come il mancato arrivo di calciatori di peso e personalità, “svuotano” la cassetta delle motivazioni. Cosa sbagliata, anzi sbagliatissima, ma reale. Rischio concreto.

Quando la Roma vendette Strootman, che purtroppo era chiaro non fosse più il meraviglioso calciatore pre infortunio, fece un’operazione finanziaria mirabile. Ma non calcolò l’effetto sullo spogliatoio. Ne parlò a distanza di anni De Rossi. Quella cessione fu un colpo che lasciò i segni sulla stagione, per ciò che Strootman rappresentava più nello spogliatoio che, ahinoi, in campo. Sbagliato farsi condizionare negativamente perché fa i bagagli un compagno di squadra? Assolutamente sì. Sbagliatissimo. Ma, come dicevamo, il calcio non può non tenere in considerazione i segnali che più o meno volontariamente si lanciano. La Roma che dice no alla cessione di Kone ha lanciato un segnale allo spogliatoio che non va decriptato. Basta? No, ma serve. Poi bisogna continuare a rafforzare la squadra. E questo sarà un altro segnale da non sottovalutare. Non soltanto per soddisfare le richieste di Gasperini o per ottenere voti alti da quotidiani che fanno la griglia di partenza al via del campionato. Ma soprattutto per responsabilizzare la squadra.

In the box – @augustociardi75

Sancho porta a porta

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Nel calcio, si capisce che si muovono gli intermediari quando il nome di un calciatore rimbalza in poche settimane fra una dozzina di squadre sparse in almeno cinque nazioni comprese fra due continenti. Di solito il calciatore in questione è un nome di livello, reduce da almeno due stagioni negative, che ha reso nettamente al di sotto delle aspettative, di sicuro un esubero del club che detiene il cartellino. Quest’anno è la volta di Jadon Sancho. Che a ricordarsi soltanto quello del Borussia Dortmund ci si chiede per quale motivo non sia titolare del Real Madrid. La risposta sta nel buco nero che fa sparire ogni tipologia di calciatore. Dai più talentuosi ai volenterosi. Il Manchester United. Dove Sancho, dopo un buon semestre al Chelsea, è appena rientrato ma senza disfare le valigie. Per lui da giugno si parla (e si è parlato) di Juventus, Atletico Madrid, Siviglia, Newcastle, Arsenal, Marsiglia, Inter, Borussia Dortmund, un paio di club arabi e, new entry, Roma. Come se i direttori sportivi di questi club si fossero dati appuntamento a piazza del mercato per litigarselo. Non una novità per il calciomercato, quando è molto più forte la spinta in uscita che quella di avvicinamento. Perché all’ok del Manchester United per cederlo, è seguito il più classico dei lavori degli intermediari, forse anche più attivi dell’agenzia che controlla l’inglese, su input del club, per proporlo. Alla Juventus qualora fosse saltato Kolo Muani, all’Inter come alternativa a Lookman, alla Roma per completare il tridente di Gasperini. La Juventus dopo un invaghimento iniziale ha detto no grazie, per sposare di nuovo l’attaccante del PSG. L’Inter vuole sposare solo e soltanto la stella dell’Atalanta. Quando la Roma è stata contattata, al pari degli altri club italiani e stranieri, ha mostrato interesse. Sapendo che le condizioni economiche per il trasferimento sarebbero apparentemente proibitive. Con l’avverbio apparentemente da sottolineare. Perché con Friedkin chi usa perentoriamente le parole mai e sempre, fa sempre una figuraccia. È già successo con Mourinho, con Dybala e con Lukaku.

La presunzione è sempre stata un boomerang perché chi la ostenta. Ma soprattutto il calciomercato sta entrando nella fase illogica. Ciò che nella prima metà di agosto sembra una boutade da solleone, spesso in coda alla sessione estiva diventa il colpo inatteso da piazzare a cifre sostenibili. La Roma è andata anche un po’ oltre. Perché dopo l’invito degli intermediari, ha contattato chi rappresenta il calciatore. Ottenendo conferme su quanto già sapeva. Col Manchester è in rottura prolungata. Può lasciare lo United per 20 milioni, che però a fine sessione potrebbero diventare 15, perché non c’è nessuna intenzione di fargli iniziare la stagione con la certezza di perderlo a zero fra un anno. Ma lo stipendio al momento è fuori portata. 8,2 milioni di euro netti a stagione, più 3 di bonus che non ha praticamente mai maturato. Sapendo però che il suo potere contrattuale è all’ultimo giro, e che quella cifra difficilmente continuerà a guadagnarla. A meno che non apra alla lega calcistica araba, dovrà ridimensionare le pretese economiche. Ha già fatto capire che per tornare a giocare a Dorrmund sarebbe disposto ad accettarne 5, e questa può essere la leva, per gli interessati, su cui sollevare la trattativa e portarsi a casa Sancho a ridosso del primo settembre. 15 milioni da versare al club di Old Trafford, 5 più bonus per il calciatore, più le commissioni, che sempre di più sono la discriminante nelle negoziazioni, una voce che oramai ha lo stesso peso del costo del cartellino e dello stipendio.

A quel punto, seppur con uno sforzo, sarebbe ancora in corsa anche la Roma. Contattata al pari dei club che abbiamo nominato. Per la vendita di Sancho porta a porta. A sparigliare le carte potrebbe essere l’Arabia Saudita, che senza problemi soddisferebbe le richieste dello United, darebbe a Sancho anche più di quanto guadagna oggi, e farebbe ridere agenti e intermediari alla voce commissioni. Ma Sancho prima di andare nel paese dei balocchi vorrebbe completare quel discorso iniziato a Dortmund. Restando in Europa.

In the box  – @augustociardi75

#Gasperiniout

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Tre scudetti in cento anni, ma una boria calcistica che sarebbe fuori luogo pure a Madrid. Decenni di prese per il culo estive subite, perché eravamo quelli che alla sosta di novembre ci saremmo arrivati a punteggio pieno, perché lo sport preferito del romanistone era ostentare per apparire più romanista fra i romanisti. Un po’ come i sedicenti sciupafemmine che narrano gesta sessuali alla Rocco Siffredi, ma l’unica cosa che sciupano sono i giga consumati per papparsi i threesome su YouPorn. A un certo punto, qualcosa è cambiato. Perché in tre decenni di gestione americana, e di lavaggio del cervello propagandistico, molti hanno indossato panni inadeguati, che gli cadevano male addosso, per un impacciato tentativo di razionalizzare il tifo, che ha portato a sventolare e a sostenere i percorsi a scapito dei traguardi, manco fossimo una squadra di guide alpine. Nel frattempo, la Roma in Italia stava sparendo dai radar. Perché il must dal 2011 era diventato, per esempio, puntare la sveglia alle quattro del mattino a inizio agosto per “gustarsi” gli imbarazzanti tornei estivi giocati negli amati Stati Uniti, quelle orribili partite giocate sotto gli occhi di Big Jim Pallotta e Richard D’amore. I filantropi del primo evo a Stelle&Strisce. Vuoi mettere? C’era Tachtsidis che disegnava calcio contro le riserve delle riserve delle riserve del Liverpool. Maledette amichevoli. Utilissime per gli allenatori e per condurre i calciatori verso una forma ottimale, deleterie appena finiscono nelle mani dei media e nei commenti dei tifosi. O per lo meno di quei media e di quei tifosi che prima rompono i coglioni perché auspicano il progetto triennale, poi però dopo tre settimane di un progetto messo nelle mani finalmente giuste di Gasperini, Massara e Ranieri, siccome perdi con l’Aston Villa, ti ricordano che “NOI-SIAMO-LA-ROMA!” e che la stagione è già finita. Dimenticando che la Roma è sempre quella dei tre scudetti in cento anni. E che essi stessi predicavano pazienza e progettualità. Tutto e il suo contrario. Le scoattate estive hanno la durata di uno sgrullone di metà pomeriggio di inizio agosto, che per dieci minuti fa scapicollare i bagnanti che si rifugiano nel chiosco dei gelati Sammontana del lido.

Maledette amichevoli. Soprattutto quelle trasmesse, male, dalle tv a pagamento, che servono soltanto a evidenziare i problemi che ritroveremo a inizio campionato. Problemi tecnici. Non delle squadre. Ma delle tv a pagamento, che dopo quasi dieci anni non sono ancora in grado di fornire un prodotto decente. Nonostante i rincari. Maledette amichevoli. Andrebbero oscurate, giocate a porte chiuse, senza neanche la possibilità di accedere ai tabellini alla fine delle stesse. Nel 2017 la Roma di Di Francesco ne prese quattro dal Celta Vigo, il giorno si scrisse che il tecnico era pronto a rassegnare le dimissioni. Quella Roma sarebbe poi arrivata in semifinale di Champions League. Nelle prime due amichevoli della Roma allenata da Luis Enrique, che a fine luglio aveva mezza manciata di calciatori con cui lavorare, fece quattro gol Marco Borriello, piazzato largo nel tridente perché a stento si arrivava a schierarne undici. I commenti del giorno dopo? Si riparte da Borriello, grazie alla geniale intuizione tattica del tecnico! La verità? Borriello sarebbe poi andato via a gennaio dopo avere giocato sette spezzoni di partite. La solita storia. Le solite maledette amichevoli. Che servono alla propaganda se batti i dilettanti della Val Pusteria e le riserve delle riserve delle riserve del Liverpool. Ma servono pure alle opposizioni, perché in tempo di guerra ogni buco è rifugio. E allora si affina l’arte dell’insinuazione dei dubbi. Proprio perché le amichevoli estive quando sono maneggiate dai media diventano tossiche. Mica solo a Roma. Il Milan ha vinto con il Liverpool e si parla del Milan che peccato non giocherà in Champions League perché ne farebbe cinque al PSG. Per questo andrebbero oscurate. Ma nell’era del marketing da veicolare tramite ogni mezzo, i club continuano a servirle sul piatto di plastica deformata delle piattaforme streaming. Nonostante sappiano come verranno commentate. Per una parte di Roma oggi è tutto finito. Perché la Roma ne ha presi quattro dall’Aston Villa di Emery. Quello che otto anni fa, se ti azzardavi a sperare la Roma lo ingaggiasse, ti saltavano al collo i boriosi incompetenti ricordandoti che “NOI-SIAMO-LA-ROMA!” e che Emery non fosse alla nostra altezza. Boriosi incompetenti. La solita storia. Dopo una manciata di gol contro il Pomezia e il Trastevere, Ferguson è diventato O Rey di Crocefieschi. Perdi un’amichevole in Inghilterra e l’attacco è da rifondare. E per colpa di un paio di chiusure sbagliate, Angelino da Roberto Carlos si trasforma in Filippo Dal Moro. Chissà se a breve si dirà che Gasperini pensa alle dimissioni. Maledette amichevoli. Oscuratele. Giocatele senza mostrarle e senza dare riferimenti. Vietate la diffusione dei risultati. Negate la ricezione dei tabellini.

In the box  – @augustociardi75

Alla Roma servirebbe Koopmeiners

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Immaginate un tridente in cui a destra si alternano Soulé e Dybala, in mezzo Ferguson spinge per soffiare il posto a Dovbyk e sul centrosinistra si piazza Teun Koopmeiners. Anticipiamo l’asta del fantamercato. Parliamo di utopia. Ma con un fondo di logica.

Koopmeiners l’anno scorso è stato il colpo dei colpi. La Juventus lo pagò quasi sessanta milioni di euro, al termine di una trattativa durata un quadrimestre, condita da schermaglie che hanno ritardato la fumata bianca. Doveva essere il re di una super mediana completata da Thuram e Douglas Luiz. Telecomandati dall’uomo della provvidenza, che per tutti doveva essere Thiago Motta. Niente di tutto ciò. La Juventus non ha collezionato punti ma flop, raggiungendo la Champions League soltanto all’ultimo scatto, dopo avere escluso gran parte dei protagonisti annunciati. Via Motta, bocciato subito Luiz, mentre Koopmeiners dall’arrivo di Tudor ha visto sempre meno il campo, fino a sparire dai radar.

Niente a che vedere col magnifico centrocampista da calcio totale visto agli ordini di Gasperini. Per il quale ancora oggi sarebbe l’ideale. Operazione fattibile? Praticamente no, ma un tentativo varrebbe la pena farlo. Complicato pensare che i bianconeri riescano a venderlo a titolo definitivo realizzando una cifra che impedisca una minusvalenze. Koopmeiners, in dodici mesi, da oggetto dei desideri e delle invidie altrui si è trasformato in un ufo da piazzare. Ma in prestito, perché urge la sua riabilitazione, anche finanziaria, in vista di una cessione futura, nel 2026. La Juventus non vorrebbe prestarlo in Italia, ma nel terzo millennio i club davanti alle soluzioni economiche mettono in secondo piano le rivalità. Altrimenti Inter e Milan neanche si sarebbero sognate di puntare Nico Gonzalez e Vlahovic.

In the box  – @augustociardi75